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Prevenire le trombosi e utilizzare terapie più efficaci per curarle. E’ la prospettiva aperta dallo studio condotto dai ricercatori dell’Università di Firenze, pubblicato sull’ultimo numero della rivista scientifica Circulation (“Neutrophil Activation Promotes Fibrinogen Oxidation and Thrombus Formation in Behçet's Disease”). I ricercatori dei Dipartimenti di Medicina sperimentale e clinica e di Scienze biomediche sperimentali e cliniche “Mario Serio” - coordinati da Domenico Prisco e Claudia Fiorillo - hanno svolto una ricerca su 98 pazienti affetti da malattia di Behçet, individuando nello stress ossidativo delle cellule del sangue la causa delle trombosi.

Gli studiosi hanno utilizzato la sindrome di Behçet - una vasculite sistemica che colpisce la cute e le mucose, ma anche gli occhi, il sistema nervoso centrale, i vasi ed il tratto gastro-intestinale, causando gravi danni - come modello per altre patologie, fra le quali Lupus e altre vasculiti, in cui si verificano trombosi infiammatorie. Grazie a un test sull’ossidazione del sangue fatto su prelievi venosi, i ricercatori fiorentini hanno scoperto che i coaguli alla base delle trombosi sono provocati da un difetto del funzionamento di una popolazione di cellule presenti nei globuli bianchi, i granulociti neutrofili.

“Con la nostra ricerca - spiega Matteo Becatti, uno dei giovani ricercatori autori dell’articolo - abbiamo scoperto un collegamento tra i granulociti neutrofili, che partecipano alla risposta infiammatoria dell’organismo, e la fibrina, la proteina che blocca il sanguinamento creando una sorta di rete che si degrada una volta svolto il suo compito. Quando c’è stress ossidativo nelle cellule del sangue, e in particolare nei granulociti neutrofili - prosegue Becatti - questi modificano la struttura della fibrina che crea placche e coaguli che ostruiscono i vasi, predisponendo quindi il soggetto alla trombosi.”

“Lo studio - commenta Claudia Fiorillo, professore associato di Biochimica clinica e biologia molecolare clinica - conferma il ruolo della modificazione ossidativa del fibrinogeno con importanti effetti pro-trombotici come emerso anche in altre ricerche condotte dal nostro team in precedenza su pazienti con infarto del miocardio.”

“I risultati della ricerca, condotta grazie al supporto economico dell’Associazione Italiana Sindrome e Malattia di Behçet (SIMBA) - afferma Giacomo Emmi, dottorando del Dipartimento di Medicina sperimentale e clinica e membro del Florence Behçet Center dell’Azienda ospedaliero-universitaria Careggi - aprono la strada a nuovi trattamenti terapeutici per tale malattia, la cui patogenesi è ancora da chiarire”.

“Oltre a indicare un nuovo modello di studio per le trombosi infiammatorie e il ruolo chiave dei granulociti neutrofili - aggiunge Domenico Prisco, ordinario di Medicina Interna - la ricerca conferma i più recenti orientamenti che consigliano l'impiego di farmaci immunosoppressivi/antinfiammatori nella prevenzione e nella cura della trombosi dei pazienti con sindrome di Behçet, invece dei più classici anticoagulanti.”

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