Il dr. Andrea Angheben: “L'Italia è la seconda nazione più colpita in Europa, con 6-12.000 persone affette, ma nel 70% dei casi la malattia è asintomatica”
Negrar (Verona) – Otto milioni di persone affette nel mondo secondo l'OMS, ma solo l'1% di loro ha accesso alla diagnosi e quindi fa qualcosa per curarsi. È la Chagas, la principale malattia parassitaria in America Latina, che si sta espandendo anche negli Stati Uniti e in Europa, dove i casi sono 100-150.000. L'Italia, secondo uno studio pubblicato nel 2011 sulla rivista Euro surveillance, sarebbe la seconda nazione più colpita in Europa, con 6-12.000 casi.
La malattia di Chagas è endemica in gran parte del Sud America continentale, esclusi i Caraibi: solo in quell'area, infatti, vive la cimice della famiglia delle Triatominae, che funge da vettore trasmettendo all'uomo, con la sua puntura, un parassita, il protozoo Trypanosoma cruzi. Questa parassitosi, tipica delle zone rurali più povere dell'America latina, oggi desta preoccupazione anche all'interno delle comunità di immigrati che vivono in Italia: nel 2013, infatti, è nata a Bergamo l'Associazione Italiana per la Lotta alla Malattia di Chagas, AILMAC Onlus. Vicepresidente della Onlus è un esperto di Chagas: il dr. Andrea Angheben, del Centro Malattie Tropicali dell'Ospedale Sacro Cuore Don Calabria di Negrar (Verona).
“La malattia ha diverse modalità di trasmissione: in seguito a puntura della cimice, che rilascia le sue feci dopo aver punto l'ospite, il quale – grattandosi o toccando la parte – permette l'entrata del parassita nel sangue; tramite donazione di sangue o di organi (un rischio che in Italia è escluso per le rigide norme previste nella selezione del donatore); congenita, ovvero trasmessa dalla madre infetta al figlio; o causata da incidenti di laboratorio”, spiega Angheben. “Un'altra modalità è l'ingestione, nelle zone endemiche, di succhi di frutta tropicale come l'açaí e la guayava, oppure di canna da zucchero. Il rischio per i viaggiatori è basso, ma è meglio evitare le bevande o i succhi di produzione artigianale, non pastorizzati”.
Nel 70% dei casi la Chagas è asintomatica, ma le persone affette possono comunque trasmetterla: con la donazione di sangue (ma non con i rapporti sessuali) o con la gravidanza (se però la madre viene curata, non trasmetterà la malattia). La malattia, in fase acuta, può provocare febbre (raramente, nel 5-10% dei casi), malessere, edema oculare e congiuntivite che può durare qualche settimana. Nella fase cronica, i sintomi possono essere disturbi all'esofago (acalasia), al colon o all'intestino, dolori addominali e stitichezza, ma quelli più gravi interessano il sistema nervoso e il cuore. Il paziente cronico, infatti, non sapendo di essere ammalato, può andare incontro a una morte improvvisa, provocata da aritmie, calo della frequenza cardiaca e dilatazione del cuore.
“La diagnosi è sierologica: l'OMS raccomanda di sottoporre a screening tutti i soggetti a rischio (migranti o espatriati provenienti dall'America Latina o i nati da donne provenienti da quei Paesi)”, prosegue il dr. Angheben. “Il trattamento avviene principalmente con due farmaci, il benznidazolo e il nifurtimox, che di solito vengono donati all'OMS dalle aziende farmaceutiche produttrici, che rinunciano a trarne profitto. Si tratta di medicinali che, nonostante qualche effetto collaterale come allergie e malessere, danno un'ottima risposta e portano all'eliminazione dei parassiti, sempre che la malattia sia di recente acquisizione; altrimenti è molto più complicato combatterla. In genere si preferisce escludere dalla scelta terapeutica i pazienti che hanno più di 55-60 anni. Finora, fra il nostro centro di Negrar e quello di Bergamo, abbiamo trattato più di 500 persone, che devono poi essere seguite fino alla scomparsa degli anticorpi”.