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sindrome di Fowler, dottoressa Francesca Clementina RadioLa dr.ssa Francesca Clementina Radio (Ospedale Pediatrico Bambino Gesù): “Ottenere maggiori informazioni sul meccanismo patogenetico alla base della sindrome potrebbe guidare approcci terapeutici futuri”

Roma – Una condizione grave, quasi sempre letale in utero, ma fortunatamente rarissima: solo 45 casi descritti in letteratura. È la sindrome di Fowler, da non confondere con la quasi omonima sindrome di Fowler-Christmas-Chapple, caratterizzata da ritenzione urinaria e svuotamento incompleto della vescica: decisamente meno severa ma ugualmente rara (è stata descritta solo in 33 donne, 14 delle quali con ovaio policistico).

La patologia di cui parliamo, invece, è nota anche come vasculopatia proliferativa con idranencefalia/idrocefalo, e viene trasmessa con modalità autosomica recessiva. Due casi di questa malattia sono stati recentemente descritti in Italia, in un articolo, pubblicato sulla rivista scientifica Molecular Genetics & Genomic Medicine, che nasce dalla collaborazione fra alcuni dei più esperti genetisti italiani: lo staff dell'Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma (Bruno Dallapiccola, Francesca Clementina Radio, Emanuele Agolini, Emanuele Bellacchio, Martina Rinelli, Renata Boldrini e Antonio Novelli), quello dell'Università Federico II di Napoli (Lavinia Di Meglio e Paolo Toscano) e del Centro Dimed di Napoli (Aniello Di Meglio). Osservatorio Malattie Rare ha intervistato la dr.ssa Francesca Clementina Radio, dell'area di ricerca “Genetica e malattie rare” del Bambino Gesù, primo autore dello studio.

Dottoressa Radio, quali sono la causa e i sintomi di questa sindrome?

“La sindrome di Fowler è caratterizzata da idrocefalo (un aumento della quantità di liquor cerebrospinale, che provoca una dilatazione delle cavità dell'encefalo) o idranencefalia (una malformazione che associa idrocefalo a mancanza o distruzione di parti del cervello); pterigi multipli (pliche cutanee che limitano la mobilità delle articolazioni) dovuti ad acinesia (immobilità) fetale; degenerazione glomerulare dei vasi del sistema nervoso centrale e della retina e lesioni ischemiche che coinvolgono l’intero sistema nervoso. La patologia è dovuta a mutazioni bialleliche del gene FLVCR2, che codifica per un trasportatore di membrana il cui ruolo non è ancora completamente noto. Alcuni studi precedenti hanno dimostrato che questo canale favorisce l’ingresso nella cellula di molecole di eme e interviene nel metabolismo del calcio. Ad oggi non si conosce il meccanismo patogenetico alla base della sindrome di Fowler, cioè come anomalie di questo gene possano causare la malattia”.

Come avviene la diagnosi?

La malattia deve essere sospettata in tutti i casi in cui sono presenti pterigi multipli associati a idrocefalia o idroanencefalia in un feto o in un neonato. È necessario che, a tutte le coppie che devono ricorrere ad un'interruzione di gravidanza per una patologia fetale, venga offerto un percorso diagnostico standardizzato che includa la raccolta di immagini, radiografie, un esame autoptico macroscopico e microscopico e la raccolta e conservazione di materiale fetale sterile. Questo percorso è indispensabile per favorire la definizione di una diagnosi di certezza della patologia fetale ed offrire alle coppie una consulenza genetica mirata, oltre ad opportune opzioni di monitoraggio delle successive gravidanze. Finora sono stati descritti 45 feti clinicamente affetti da sindrome di Fowler, provenienti da 27 nuclei familiari, e una coppia fratello/sorella nella quale la malattia è stata diagnosticata nel periodo neonatale. La diagnosi clinica è stata verificata mediante analisi molecolare del gene FLVCR2 in 15 di queste famiglie”.

Ci può parlare dei due casi riportati nello studio appena pubblicato?

I due casi descritti dal nostro gruppo provengono da un’unica famiglia del centro-sud Italia, nella quale è stato possibile porre il sospetto diagnostico di sindrome di Fowler, sulla base della documentazione raccolta a seguito di due interruzioni di gravidanza successive per il riscontro ecografico di patologia fetale. Il sospetto clinico è stato poi confermato con l’analisi molecolare del gene FLVCR2 sul materiale fetale. Come accennavo prima, è essenziale sottolineare l'importanza di una raccolta attenta del materiale iconografico e l’avvio di indagini strumentali mirate, oltre che la raccolta e conservazione di materiale fetale utilizzabile per successive indagini diagnostiche, per offrire una possibilità di diagnosi e quindi una consulenza genetica mirata alle famiglie”.

Cosa aggiunge questo studio a quanto già noto sulla patologia?

“Questo lavoro permette di confermare che alterazioni di entrambi gli alleli del gene FLVCR2 sono sempre implicate nel determinismo della sindrome di Fowler e che l’analisi molecolare di questo gene deve essere offerta a tutte quelle coppie che hanno avuto un feto o un neonato con idrocefalia o idroanencefalia e pterigi multipli. Il nostro lavoro ha inoltre permesso di ipotizzare il meccanismo patogenetico alla base della malattia, attraverso un approccio computazionale che ha dimostrato come la mutazione identificata in questa famiglia fosse essenziale per mantenere la stabilità e la capacità di trasportatore della proteina FLVCR2. I nostri dati suggeriscono che un deficit intracellulare di eme possa causare la degenerazione cellulare nei tessuti coinvolti. Tale dato è supportato anche dal tipo e dalla localizzazione delle altre mutazioni fino ad oggi descritte a carico di questa proteina. L’analisi dell’impatto di queste mutazioni suggerisce infatti una verosimile perdita di funzione del canale o una completa assenza della proteina”.

È disponibile qualche tipo di trattamento?

Ad oggi non è purtroppo disponibile alcun trattamento di questa condizione che, come anticipato, è generalmente letale in utero. Ottenere maggiori informazioni sul meccanismo patogenetico alla base della sindrome di Fowler potrebbe guidare possibili approcci terapeutici futuri. Tuttavia, trattandosi di una condizione sistemica ad insorgenza nella vita fetale, non è attualmente possibile prevedere un intervento terapeutico prima del manifestarsi dei segni ecografici e quindi prima dell’instaurarsi del danno cerebrale”.

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