L’emergenza sanitaria legata alla pandemia ha privato queste persone della terapia del dolore, l’unica a loro disposizione
“Noi siamo quelli per cui ‘stare a casa’ è l’ultimo dei problemi”. Inizia così la testimonianza di Elsa Aimone, presidente dell’associazione Tarlov Italia Onlus. I pazienti affetti da cisti di Tarlov, infatti, sono spesso costretti all’immobilità da un dolore continuo e severo: le misure di contenimento dettate dalla pandemia di COVID-19, quindi, non hanno modificato di molto la loro quotidianità, ma li hanno privati dell’unico palliativo a cui avevano accesso: la terapia del dolore. Durante il periodo di maggior congestione dei centri ospedalieri, infatti, algologi e anestesisti sono stati spesso dirottati verso i reparti di rianimazione, lasciando senza riferimento tanti pazienti affetti da patologie caratterizzate da dolore cronico.
Le cisti di Tarlov, dette anche cisti perineurali, sono sacche piene di liquor (fluido cerebrospinale) che si formano in corrispondenza della colonna vertebrale, soprattutto a livello della zona sacrale, e che possono provocare una progressiva compressione meccanica della radice nervosa spinale, con conseguenti sintomi infiammatori come cefalee, debolezza muscolare, sciatalgia, forti dolori lombo-sacrali, gravi difficoltà nella deambulazione e disturbi dell'intestino, della vescica e della sfera sessuale. Queste sacche di liquor sono presenti in forma asintomatica in circa il 5% della popolazione, ma in casi rari (meno di 5 su 10.000 ogni anno) evolvono in una condizione patologica denominata sindrome da cisti di Tarlov, o sindrome di Tarlov.
Le testimonianze raccolte da Tarlov Italia Onlus mostrano le difficoltà che le persone con cisti di Tarlov sono costretti ad affrontare a causa di questa patologia che, nonostante le numerose richieste, non è ancora stata inserita nei LEA (Livelli Essenziali di Assistenza) né nel Registro Nazionale Malattie Rare. Per i pazienti, questo mancato riconoscimento è uno degli aspetti più destabilizzanti della patologia. Sono di fatto ‘invisibili’, e non solo per l’assenza di una legittimazione da parte della comunità medica e scientifica, ma anche per la mancanza di un riconoscimento sociale. La loro condizione viene spesso giudicata o messa in dubbio, a volte dagli stessi professionisti della sanità.
“La mia malattia, per la maggior parte dei medici, non esiste”, è la triste rivelazione di Cati che, dal 2008, convive con le cisti di Tarlov. “Il neurologo che mi ha visitata afferma che non possono essere le cisti a provocarmi dolore, ma io ho sempre male alle anche e alle gambe”, racconta Mina. “Sono stata visitata da un medico che nemmeno sapeva cosa fossero le cisti di Tarlov”, dice Lara. “Sono davvero poche le persone che prendono sul serio il mio disagio”, spiega Valentina. A causa delle difficoltà che incontrano nel veder riconosciuta la loro sofferenza, questi pazienti finiscono con l’andare incontro a un peggioramento dei loro sintomi, sentendosi sempre più soli e incompresi. “Mi sono sentita dire che ero depressa, che somatizzavo, che non avevo nulla; mi hanno trattata come una malata immaginaria”, ricorda Marcella, il cui calvario dura ormai da più di 10 anni.
Negli Stati Uniti, le cisti di Tarlov sono una patologia riconosciuta come rara dalla National Organisation for Rare Disorders. In Spagna, la condizione è inserita nel registro delle patologie rare, mentre in Francia è annoverata tra le malattie di lunga durata. Da qualche anno, inoltre, a seguito di una petizione presentata da Tarlov Italia Onlus, le cisti di Tarlov sono state inserite nel database di Orphanet, la principale banca dati europea sulle malattie rare. In Italia, invece, la situazione è molto diversa. Solo la Regione Basilicata riconosce le cisti di Tarlov come patologia rara e permette ai pazienti di usufruire della relativa esenzione dalla partecipazione al costo delle prestazioni sanitarie.
Inoltre, alla luce dell’attuale scarsità di centri specializzati sulle cisti di Tarlov sul territorio italiano, appare chiaro come molti pazienti siano stati costretti a continue peregrinazioni alla ricerca di una diagnosi, o di una terapia efficace per ridurre il dolore. L’aspetto più menomante della malattia, infatti, è rappresentato dall'insostenibile dolore cronico, difficilmente trattabile con i farmaci attualmente in commercio, inclusi gli oppiacei. Spesso, anche in relazione al posizionamento delle cisti, la sofferenza è talmente intollerabile da non consentire di mantenere la posizione seduta per lungo tempo, o da rendere estremamente doloroso camminare o espletare i normali bisogni fisiologici. “Il dolore è cronico, presente ventiquattro ore su ventiquattro, giorno dopo giorno, minuto dopo minuto e, nel mio caso, poco rispondente ai farmaci”, racconta Cati. “I dolori non passano, diventano fissi e mi costringono a letto. Anche espletare le funzioni fisiologiche è diventato un problema. Non riesco a rassegnarmi all’idea che non esista rimedio”, dice Annalisa, malata dal 2018. “Ho fatto visite, terapie e tanto altro, ma non c’è via d’uscita. Attualmente curo solo il dolore, con gli oppiacei. Ho solo 53 anni, ma mi sento spenta”, è la triste testimonianza di Patrizia, che da tre anni convive con le cisti di Tarlov. “Ci sono giorni in cui i dolori di schiena, sciatica e pudendo sono talmente forti da impedirmi anche i movimenti più semplici (vestirmi, accucciarmi, piegarmi e stare seduta)”, racconta Magdalena.
A peggiorare la situazione c’è il fatto che sono ancora pochi gli studi in atto sulle cisti di Tarlov, e la comunità dei ricercatori è ancora lontana dal trovare una spiegazione a questa patologia. Lo studio eziologico della condizione sarebbe in grado non solo di indirizzare i pazienti verso trattamenti specifici, ma anche di confermare o smentire la presunta correlazione delle cisti di Tarlov con altre patologie, come la fibromialgia o le sindromi di Marfan e di Ehlers-Danlos. “In seguito all’anamnesi, risultai positiva alla sindrome fibromialgica”, racconta Claudia, ad esempio. “Quando chiesi al medico se le due patologie potessero essere collegate mi rispose ‘Sì, potrebbero’. La verità, però, è che si hanno ancora troppi pochi elementi per affermarlo”. Alla luce dell’attuale mancanza di studi sull’argomento, Tarlov Italia Onlus chiede l’avvio di ricerche globali che possano fornire risposte ai pazienti, costretti da anni a vivere nell’incertezza.
Inoltre, l’Associazione auspica che, una volta terminato il periodo di emergenza Coronavirus, l’attenzione della comunità medica e scientifica si rivolga a tutte quelle patologie da tempo trascurate. “Spero che si arrivi presto al riconoscimento della sindrome da cisti di Tarlov nel novero delle malattie rare e alla presa in carico complessiva dei pazienti presso centri multidisciplinari, in grado di seguirli a 360 gradi”, si augura la presidente Elsa Aimone.