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Medici

La priorità è fornire assistenza a domicilio e sul territorio, e garantire un accesso ospedaliero certo e sicuro

La seconda ondata della pandemia di SARS-CoV-2, ammesso che la prima si sia mai completamente esaurita, ha costretto le persone con malattia rara e cronica in una sorta di limbo. Le difficoltà quotidiane con le quali migliaia di pazienti e famiglie si confrontano quotidianamente sono un'emergenza continua, fatta di tanti aspetti, non solo sanitari ma anche sociali, educativi ed emotivi. Questa emergenza, negli ultimi mesi, è cresciuta a livello esponenziale, ed è ora necessario che la comunità medico-scientifica, per prima, si faccia portavoce della situazione di migliaia di pazienti di tutte le età, dai bambini agli adulti, fino agli anziani.

Da molti mesi, ormai, una delle maggiori difficoltà vissute dai malati rari riguarda la garanzia del diritto alle cure e all'assistenza, nonché del diritto a una diagnosi certa, i cui tempi, già troppo spesso incerti e pieni di variabili, si sono ulteriormente dilatati, con una ricaduta sulla condizione di salute generale dei pazienti, particolarmente nei casi in cui sono stati complicati il follow-up o la gestione di una terapia adeguata. L'attivazione di servizi di telemedicina, dove possibile, ha avuto un ruolo importante ma non completamente risolutivo, o almeno non nelle situazioni più difficili.

Il nodo centrale è che adesso è necessario ascoltare tutti coloro che sono coinvolti in prima linea nella cura e nell'assistenza dei pazienti rari e cronici: medici, scienziati e tutto il personale sanitario che ha esperienza e formazione sul campo. E’ essenziale fare rete tra professionisti, a livello regionale ed interregionale, e lo è ancora di più fare rete tra esperti e medici deputati alla gestione delle emergenze, poiché spesso, in un contesto come quello di un Pronto Soccorso, il personale può non essere preparato a prendere in carico una patologia della quale non ha mai avuto esperienza: questo non per demerito, ma perché le malattie rare e croniche richiedono formazione e competenze pluridisciplinari, che implicano il dedicarsi solo ad esse.

Fare rete significa stabilire linee guida che includano, prima di tutto, un codice ed un accesso per le emergenze specificamente dedicati ai pazienti rari e cronici, e a quelli con comorbilità. Se un paziente con malattia rara si trovasse nella condizione di non poter evitare un accesso in Pronto Soccorso, o in reparto, ora più che mai va tutelato e ricoverato in sicurezza. Non abbiamo minimamente considerato cosa significhi, in questo momento, ammalarsi di COVID-19 per un genitore o un fratello che fa da caregiver a un familiare con malattia rara o cronica; non abbiamo considerato cosa possa comportare il conseguente isolamento, o il rischio di contagio per i pazienti, o lo sgretolamento di quei punti di riferimento che sono fondamentali nella qualità di vita di un malato raro.

L'emergenza è oggi, ma potrebbe verificarsi ancora in futuro, per qualsiasi motivo: non possiamo prevederla, ma possiamo farci trovare pronti, organizzando il sistema sanitario in modo che nessuno resti indietro. Fare rete significa sostenere il malato raro e la sua famiglia, fornendo assistenza a domicilio e sul territorio, e garanzia di un accesso ospedaliero certo e sicuro: nelle attuali condizioni non riusciamo a farlo, non riusciamo concretamente a realizzarlo, soprattutto perché, nonostante infinite proposte e progetti, negli ultimi tempi l'unica prospettiva che vediamo all'orizzonte è la rimodulazione dei reparti e la riduzione dei ricoveri. La necessità, per noi medici, è quella di poter lavorare disponendo degli strumenti necessari per tradurre in realtà i percorsi dedicati ai pazienti più fragili, per proteggerli al meglio dalle conseguenze dirette ed indirette di questa pandemia.

Autore: Dott.ssa Barbara Hugonin, genetista e fellow al Rare diseases training program del Nationwide Children's Hospital di Washington D.C.

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