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Vaccino

La diffusione di notizie allarmanti e non confermate ha portato al blocco temporaneo delle somministrazioni: approfondiamo quanto accaduto

Il modo migliore per analizzare una questione scientifica è studiarne i numeri che, diversamente dalle opinioni, non sono soggettivi. Solo la scorsa settimana, a causa del COVID-19, in Italia sono morte 2.991 persone (il dato è aggiornato al 29 marzo). Nello stesso arco di tempo, 1.523.309 persone sono state vaccinate, circa il 39% in più rispetto alla settimana precedente, nella quale le vaccinazioni sono state condotte con solo due dei tre prodotti disponibili, perché tutti i lotti del vaccino AstraZeneca sono stati bloccati a causa di presunti eventi avversi legati all’insorgenza di trombosi.

Il nodo che ha portato alla sospensione del prodotto di AstraZeneca è originato dalla segnalazione, al Paul Ehrlich Institute tedesco, di 7 casi di trombosi cerebrale del seno venoso, associata a trombocitopenia (riduzione del numero delle piastrine), riscontrati su più di 1,7 milioni di somministrazioni del vaccino. Questa condizione, che si traduce in un’ostruzione dei vasi che drenano il sangue deossigenato dal cervello, ha un’incidenza stimata in 3-4 casi per milione all’anno. A questi 7 casi si sono poi aggiunte altre segnalazioni, e i casi di trombosi riferiti dall’Agenzia Europea dei Medicinali (EMA) sono arrivati a 30 su oltre 5 milioni di somministrazioni (circa lo 0,0006%): un numero comunque confrontabile con l’incidenza della malattia nella popolazione generale. Ciononostante, alcuni Paesi europei, tra cui l’Italia, hanno sospeso la somministrazione di tutti i lotti (non solo di quelli potenzialmente coinvolti) del vaccino di AstraZeneca.

Dopo aver svolto le opportune verifiche, l’EMA ha confermato la sicurezza del vaccino di AstraZeneca, facendo ripartire le vaccinazioni, anche se l’accaduto ha in parte minato la fiducia della popolazione in una delle più importanti armi di prevenzione dell’infezione da SARS-CoV-2. Il timore, alimentato anche da una comunicazione spesso eccessivamente ‘sensazionalistica’ e senza che vi fossero elementi tangibili a riguardo, era che il vaccino di AstraZeneca potesse esser causa di trombosi. In realtà, quanto è accaduto testimonia che il meccanismo di farmacovigilanza garantito da enti regolatori come l’EMA funziona.

A tutti gli effetti, non è stata dimostrata alcuna correlazione tra l’insorgenza di trombosi e la somministrazione del vaccino contro il virus SARS-CoV-2, mentre, lo ricordiamo, risulta ormai chiaro che nei casi gravi di COVID-19 aumenti il rischio trombotico. Ad ulteriore conferma c’è anche la posizione assunta dalla Società Italiana per lo Studio dell’Emostasi e della Trombosi (SISET), la quale “scoraggia, perché non basato su nessuna evidenza, l’impiego di farmaci antitrombotici in occasione o dopo la vaccinazione, a meno che non siano già assunti per una prescrizione medica precedente”.

Nel frattempo, sono stati pubblicati i risultati dello studio clinico di Fase III che la Food and Drug Administration (FDA) statunitense ha richiesto ad AstraZeneca, i quali confermano un’efficacia del vaccino pari al 79% nella prevenzione della malattia sintomatica, e del 100% nella prevenzione delle forme gravi di COVID-19 e della conseguente necessità di ospedalizzazione dei pazienti (ad oggi, in Italia, sono oltre 30mila i ricoverati).

Per uscire da questo momento grigio servono molte più dosi di vaccino, conferma anche il prof. Carlo Centemeri, farmacologo dell’Università di Milano e fondatore dell’Italian Renaissance Team contro Covid-19. “Come hanno fatto altri Paesi dell’Unione Europea, il Governo italiano, passando per il Ministero della Salute e AIFA, potrebbe decidere di utilizzare i tre vaccini autorizzati (Pfizer, Moderna e AstraZeneca) ma provenienti da diverse sedi di produzione extra-UE”, spiega Centemeri. “Si dovrebbe valutare l’opportunità di acquistare dosi di vaccino originale Pfizer, Moderna o AstraZeneca disponibili in altri mercati, come quello statunitense, indiano, o sudafricano, senza andare a interferire con gli accordi presi con la UE in termini di ripartizione di vaccini, che prevedono per l’Italia il 13,5% circa del totale disponibile delle dosi”.

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