All’improvviso, la vita di Francesco Scopesi e di sua moglie Raffaella cambia radicalmente per la scomparsa del loro Nick: cinque anni dopo, un diario descrive la trasformazione del dolore
Sorridi e fai vedere che va tutto bene. E quando ti chiedono come stai rispondi senza pensarci: “Benissimo, come dovrebbe andare?”. Il 2 aprile del 2016, la vita di Francesco Scopesi e di sua moglie Raffaella cambia radicalmente con la stessa velocità con cui cambia la scenografia sul palco di un teatro. Un brutto incidente in moto si porta via Nick, il primogenito ribelle, che fa le cose di testa sua mettendo continuamente alla prova suo padre. Da quel momento, Francesco e Raffaella precipitano nel fondo di un burrone, avvolti da una disperazione solitaria che rischia di allontanarli per sempre, distruggendo il rapporto di complice solidarietà che ha caratterizzato la coppia fino a quel momento. Raffaella smette di mangiare, si nutre soltanto di fragole, diventa apatica e indifferente, nulla sembra avere più un senso per lei. Francesco sente farsi strada dentro di sé un dolore incontrollabile, che prende la forma di un serpente.
Proprio da quella sofferenza lancinante, che Francesco Scopesi decide di non reprimere ma di accogliere senza lasciarsene sopraffare, nasce il volume autobiografico “Il serpente invisibile” (KC Edizioni). “Non volevo dimenticare il dolore, anche se farci i conti è difficile”, racconta al telefono l’autore. “Poi volevo testimoniare l’amore che io e Raffaella abbiamo ricevuto dalle tante persone che ci sono state vicine nei mesi della devastazione emotiva. E, se possibile, volevo anche essere d’aiuto a quanti si trovassero a vivere la stessa situazione che abbiamo vissuto noi”.
La prima a pensare al libro è Raffaella, che ne parla al marito nel corso di una vacanza a Formentera, dove la coppia trascorre una breve vacanza due mesi dopo la scomparsa di Nick, a soli 21 anni. È Francesco a convincere Raffaella a lasciare Genova per alcuni giorni, argomentando che è meglio piangere sulla riva di un mare dalle acque turchesi piuttosto che sprofondati sul divano di casa propria. E quando lei accenna all’idea di scrivere un libro, Francesco non si fa problemi a rubarle l’idea perché, come dice lui, “si tratta di un furto in casa”; ma forse, più semplicemente, perché comprende che quel libro gli potrà servire per rimettere insieme i pezzi di un dolore che va ricomposto per essere accettato. “Non avevo mai pensato di scrivere un libro in vita mia”, racconta. “Anzi, a scuola non ero neppure particolarmente bravo in italiano, ma iniziando ho scoperto il valore terapeutico della scrittura, sia per me che per mia moglie, che lo ha letto solo dopo che è andato in stampa. Per noi, due questo libro rappresenta una sorta di vaccino contro la disperazione. Per me, in particolare, aver tirato fuori questo serpente che devasta le viscere mi consente di vivere un po’ più serenamente”.
All’inizio, però, buttare fuori i ricordi è facile: Francesco inizia a scrivere, poi si ferma, infine parte di nuovo. Così, dalla stesura delle prime pagine, nel maggio del 2019, all’ultimo capitolo, portato a termine nel gennaio 2021, intercorrono quasi due anni. È un’operazione “devastante”, ma Francesco non molla, più scrive e più sente il bisogno di scrivere. Le emozioni tornano ad assalirlo: il serpente c’è sempre, ma pian piano riesce a guardarlo da fuori e, in questo modo, a ‘depotenziarlo’. “All’inizio, il libro è come se lo avessi ‘vomitato’, poi mi sono fermato: ho dovuto selezionare i ricordi e fare delle scelte. Sono ripartito nell’estate del 2020 e da lì sono arrivato alla fine, tutto d’un fiato”. Così, mentre l’Italia della movida si riversa nelle strade per esorcizzare l’isolamento del lockdown dovuto alla pandemia, sugli scogli della sua amata Moneglia, Francesco scrive senza sosta: usa quasi esclusivamente il cellulare - con buona pace della sua editrice, che di questo lo rimprovera - perché le idee, i pensieri, i ricordi possono arrivare in qualsiasi momento e non vanno dispersi.
Alla fine, quando il manoscritto è pronto, per Francesco è una grande emozione: è come se avesse messo sotto vetro il suo serpente, come se avesse dato corpo e forma al dolore che negli anni trascorsi lo aggrediva all’improvviso, lasciandolo inerme e indifeso. Il libro, però, è anche un atto di amore verso Raffaella, di cui Francesco è riuscito a prendersi cura anche nei momenti più bui. Quando lei non mangiava e non reagiva, lui le aveva detto: “Non dobbiamo sopravvivere, dobbiamo continuare a vivere”; e poi, con una sorta di “approccio scientifico”, aveva preso ad abbracciarla più volte al giorno, “Anche quando non ne sentivo la necessità”, scrive. “È stato come somministrare una terapia alla nostra coppia. Come se fosse stato scritto nel bugiardino delle medicine dell’amore. Tre volte al giorno dopo i pasti. Certo non ho adottato uno schema terapeutico così rigido, ma piano piano la terapia ha dato i suoi frutti. Ci siamo ritrovati in fondo al burrone ma insieme. E insieme abbiamo iniziato la scalata verso la superficie”.
Così Francesco riesce a tornare al lavoro: è general manager di un’azienda farmaceutica, impegnata nel 2016 in una complessa fase di transizione che mette a rischio molti posti di lavoro, compreso il suo. Ma il suo spirito è cambiato e, paradossalmente, il dolore lo aiuta ad affrontare i problemi lavorativi con più distacco. E quando la sua carriera esce rafforzata da questa crisi, non esulta: ci sono cose più importanti nella vita di un uomo, come gli affetti e il rispetto per gli altri, che riesce a coltivare anche nei momenti più drammatici. Quei famosi “altri” che reagiscono, a volte goffamente ma più spesso teneramente, al dolore della famiglia. Come Lino, Ema e i tanti altri amici che, a partire dai primi giorni, avvolgono Francesco e Raffaella in un clima di cure e attenzioni continue, creando persino una chat su WhatsApp chiamata “Babysitter”, che usano soprattutto per organizzarsi in modo da non lasciarli mai soli. “Siamo stati circondati da un affetto incredibile e inaspettato”, ricorda Francesco. “Per almeno un paio di mesi è stato come fluttuare sull’amore degli altri: un amore che ci sospingeva avanti come un tappeto magico. Il nostro unico merito è stato quello di riuscire ad accettarlo”.
Qualche tempo dopo, Francesco sente il bisogno di “restituire” ad altri una parte di quell’amore che lui e Raffaella hanno copiosamente ricevuto: decide così di fare volontariato all’interno del Dynamo Camp, un’organizzazione che offre ai bambini disabili o colpiti da malattie croniche e invalidanti una vacanza completamente gratuita sulle colline pistoiesi: a questa organizzazione, e al Movimento Rangers di Genova, saranno devoluti tutti i proventi del volume.
In questi cinque anni, Francesco non è più quello di prima: pensa sempre a Nick e fa continua autocritica. Nell’ultimo capitolo del libro si rivolge direttamente a lui: “Il mio primo scopo era quello di crescere te e tuo fratello come due persone a modo, corrette rispettabili, stimate. Nella mia inesperienza ho scambiato la vostra esplorazione del mondo per degli spostamenti dal “buon comportamento”. Certo, tu ci hai messo del tuo, sei stato piuttosto oppositivo, ma eri fatto così. Per noi genitori quello che pensiamo noi è il giusto e i figli devono adeguarsi. Non c’è molto spesso il compromesso tra genitori e figli. Lo si impara quando diventate grandi”.