La prof.ssa Patrizia Zeppegno: “La patologia può colpire anche soggetti non bevitori, come persone affette da anoressia nervosa o diabete mellito, oppure con storia di trauma cranico”
Novara – Era il 1898 quando Agostino Carducci identificò per la prima volta la malattia di Marchiafava-Bignami, una rara patologia idiopatica che si caratterizza per la demielinizzazione simmetrica e la necrosi del corpo calloso. La malattia, successivamente, prese il nome dai patologi Ettore Marchiafava e Amico Bignami, che la descrissero nel 1903 dopo aver osservato il cervello di tre soggetti alcolisti nel corso dell'autopsia: furono proprio loro a intuire per primi l’associazione della malattia con il consumo di alcol: in effetti, la maggior parte dei casi coinvolgono soggetti con storia di consumo cronico di alcol e malnutriti.
“La malattia, tuttavia, è stata identificata anche in soggetti non bevitori: persone affette da anoressia nervosa o diabete mellito, oppure con storia di trauma cranico”, precisa Patrizia Zeppegno, professore associato di Psichiatria presso l'Università del Piemonte Orientale e direttore della Struttura Complessa di Psichiatria dell'A.O.U. “Maggiore della Carità” di Novara. “L'eziologia esatta della malattia rimane tuttora da chiarire, anche se è presumibilmente attribuibile a una combinazione di neurotossicità indotta dall'alcol (di natura incerta) e di carenza delle vitamine del complesso B”.
La malattia di Marchiafava-Bignami è una condizione molto rara e da ciò dipende la limitata disponibilità di dati epidemiologici. Ad oggi, sono stati pubblicati circa 300 case report e da questi emerge una maggiore incidenza negli uomini (forse dovuta al maggior consumo alcolico) con un'età media di presentazione di 45 anni. È probabile che molti casi non vengano diagnosticati e una possibile causa di sottostima della prevalenza della patologia è legata al fatto che non tutti i pazienti vengono sottoposti ad autopsia.
“La malattia non ha una presentazione clinica tipica e si possono distinguere esordi acuti, subacuti e cronici”, spiega la prof.ssa Zeppegno. “Quando si presenta in modo acuto, si caratterizza per perdita di coscienza improvvisa, convulsioni e alterazioni aspecifiche dello stato mentale (come confusione, agitazione, delirio e aggressività). Nella presentazione subacuta si presentano atassia, aprassia, agrafia, anomia, disartria, dislessia visiva e depressione: alcuni di questi sintomi possono far parte di una sindrome da disconnessione interemisferica, con una presentazione unilaterale. Nelle forme croniche, il soggetto presenta un quadro di demenza globale grave progressiva, allucinazioni visive e uditive, anomalie comportamentali”.
Sulla base della risonanza magnetica, si possono distinguere due principali forme. La prima, o tipo A, ha la prognosi peggiore: dal punto di vista clinico si presenta con grave alterazione della coscienza, convulsioni, disartria ed emiparesi, mentre alla risonanza magnetica si evidenzia un edema iperintenso del corpo calloso. La seconda forma, o tipo B, ha una prognosi più favorevole: clinicamente è caratterizzata da minor compromissione della coscienza, disartria, atassia; la risonanza rivela solo lesioni parziali del corpo calloso.
La diagnosi si avvale del neuroimaging e la risonanza magnetica è l’esame di riferimento: le caratteristiche patognomoniche sono le lesioni simmetriche a livello del corpo calloso. Nella formulazione della diagnosi possono risultare utili anche esami laboratoristici come l’analisi degli elettroliti sierici (per escludere le alterazioni elettrolitiche che possono causare coma, disturbi della coscienza e convulsioni), delle transaminasi e della bilirubina (per valutare il danno epatico), il controllo della glicemia (per escludere l'ipo/iperglicemia), l’emocromo completo (i segni di macrocitosi orientano verso un disturbo da abuso di alcol, utile per escludere cause infettive/infiammatorie e per valutare i livelli di emoglobina e piastrine) e lo screening tossicologico (per escludere l'utilizzo di altre sostanze oltre all’alcol). È importante, inoltre, effettuare il pannello di analisi di sierologia infettiva del siero e del liquido spinale, per determinare le infezioni del sistema nervoso centrale o sistemico.
“La prognosi varia molto in base alla gravità della malattia: il paziente può guarire completamente, sopravvivere manifestando sintomi neurologici oppure andare verso uno stato comatoso che lo conduce al decesso”, prosegue la psichiatra. “Tra i fattori predittivi di un outcome positivo vi sono le lesioni incomplete del corpo calloso, con relativo risparmio delle fibre della commessura superiore, e la diagnosi precoce. Lesioni cerebrali più estese, una manifestazione clinica con grave alterazione dello stato di coscienza e l’anamnesi positiva per importante consumo di alcol sono considerati fattori predittivi negativi”.
Ad oggi non ci sono linee guida o trattamenti specifici comprovati per la malattia di Marchiafava-Bignami. A livello clinico, la patologia viene trattata come la sindrome di Wernicke-Korsakoff, una malattia degenerativa del sistema nervoso. “La maggior parte dei casi clinici mostra una risposta favorevole alla somministrazione endovenosa di complessi di tiamina, folati, vitamina B e amantadina, nonché di corticosteroidi ad alte dosi”, conclude la prof.ssa Zeppegno. “In particolare, la supplementazione di tiamina ad alte dosi per via endovenosa, effettuata fin dalle prime fasi di malattia, porta ad un significativo miglioramento della prognosi. Infine, la gestione del paziente include anche un'integrazione nutrizionale e l'astinenza dall’alcol”.