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Oggi sono sempre più le persone che si sottopongono a test genetici, in particolare se ci sia il progetto di un figlio od una gravidanza in corso. In quest’ultimo caso ciò può voler dire effettuare esami invasivi come l’amniocentesi e la villocentesi che, se pur bassi, comportano dei rischio per il feto. In futuro però le cose potrebbero cambiare mandando in soffitta i test invasivi a favore  di un semplice prelievo di sangue materno. “In Lombardia – dice la dottoressa Manuela Seia del Laboratorio di Genetica del Policlinico di Milano, intervistata a margine del Ventitreesimo Congresso Internazionale dei Biologi tenutosi a Roma – la percentuale di donne che effettuano esami invasivi in gravidanza, pur in assenza di dati certi, si aggira sul 50 per cento. Ma la ricerca oggi si muove verso l’analisi del DNA fetale presente nel sangue materno – spiega – ed a livello europeo si sta già pensando di fare una valutazione dell’accuratezza di questo tipo di analisi, partendo da quella giù in uso per la determinazione del sesso fetale”.      Verificare l’accuratezza di questo test che si esegue nelle prime settimane di gestazione con un prelievo di sangue rappresenterebbe già un risultato molto importante  perché permetterebbe di individuare il sesso del nascituro con grande anticipo. Sapere il sesso del nascituro infatti è determinante per alcune malattie che vengono trasmesse solo ai maschi, cioè legate al cromosoma X, come l’emofilia o la sindrome di Duchenne. Nel caso in cui la mamma sia infatti portatrice nota di una patologia legata al cromosoma X esami invasivi per una diagnosi accurata saranno necessari solo se il feto è di sesso maschile, mentre non si renderanno necessari se è femmina.  

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