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Lo ha deciso la Corte di Cassazione con la sentenza n.6093

La rarità della malattia non giustifica l’errore di diagnosi. Lo ha deciso la Corte di Cassazione con la sentenza n. 6093 del 12 marzo 2013, che ha condannato tre medici per aver diagnosticato a una paziente un cancro, sottoponendola alla chemioterapia, mentre si trattava di una rara forma di tumore benigno.
La rarità della patologia aveva indotto precedentemente i giudici ad assolvere i tre professionisti, giudicando l’errore ‘scusabile’ e non riconducibile a imperizia, imprudenza e  negligenza.


Il medico era stato assolto dalla Corte di merito “sia per la rarità di quelle neoplasie, sia per la possibilità di confondimento diagnostico”. Ora però la Suprema corte ha chiarito che: “La limitazione di responsabilità professionale del medico-chirurgo ai soli casi di dolo o colpa grave, ai sensi dell’art. 2236 c.c., attiene esclusivamente alla perizia, per la soluzione di problemi tecnici di particolare difficoltà, con esclusione dell’imprudenza e della negligenza”.

I giudici di secondo grado dovranno ora rivalutare il caso, tenendo presente che la paziente era stata sottoposta a lunghi cicli di chemioterapia, interrotta solo quando era risultato sospetto un dato all’inizio considerato non determinante: i marker tumorali erano sempre nella norma.
Con la stessa sentenza la Cassazione elenca i doveri del primario, che deve “definire i criteri diagnostici e terapeutici” ed essere a conoscenza delle situazioni cliniche di tutti i pazienti, attraverso la visita diretta o interrogando gli operatori sanitari.

 

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