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L'autorità sanitaria USA lancia l'allarme: “Aumento esponenziale della resistenza ai farmaci”

Nel medio periodo potremmo essere costretti a riconsiderare il rapporto del genere umano con le infezioni batteriche. Bacilli, cocchi e spirilli stanno sviluppando una resistenza sempre maggiore agli antibiotici; una dinamica in grado di compromettere i principali protocolli medici in materia di terapie e cure.
Eravamo stati messi in guardia proprio dallo scopritore della penicillina, Alexander Fleming. Il medico britannico, Nobel per la medicina nel 1945, aveva già avuto modo di sperimentare in laboratorio quanto non fosse difficile sviluppare dei batteri in grado di resistere alla sostanza da lui isolata nel 1928; un fenomeno – aveva spiegato – sicuramente ripetibile anche senza nessun tipo di induzione esterna.

Dagli Stati Uniti arrivano dei dati che non possono essere ignorati. Il Centro di Controllo e Prevenzione delle Infezioni, un'agenzia federale del governo di Washington, ha svolto per la prima volta un'indagine per stimare il numero effettivo di infezioni batteriche difficili da trattare perché resistenti ai farmaci in commercio.

Secondo il rapporto, solo negli USA sono due milioni i pazienti che contraggono ogni anno delle infezioni che non possono essere curate con gli antibiotici normalmente prescritti: di questi, circa 23.000 muoiono per diretta conseguenza dell'infezione.

L'allarme è stato lanciato anche per i 14.000 decessi che ogni anno sono da attribuire al batterio “Clostridium difficile”, agente patogeno normalmente residente nel nostro organismo che, però, a causa dell'uso prolungato di antibiotici può causare infezione.

Il documento della Autorità sanitaria statunitense evidenzia altri diciotto batteri potenzialmente in grado di causare fenomeni “seri e preoccupanti” per la salute pubblica. Secondo gli esperti, il dito deve essere puntato contro chi prescrive cicli a base di antibiotici anche per un banale raffreddore o per eliminare i più banali sintomi influenzali.

Negli USA quasi la metà delle prescrizioni sarebbe del tutto inutile, un sovrautilizzo i cui danni sono amplificati da chi assume questo tipo di farmaci senza consultare un medico.

Le dinamiche negative finiscono per coinvolgere anche tutto il tessuto economico-produttivo; combattere la resistenza agli antibiotici con altre terapia costa al solo sistema sanitario americano 20 miliardi di dollari. La perdita di produttività causata dal diffondersi di queste patologie è invece stimata intorno ai 35 miliardi, numeri destinati a crescere se non si dovessero prevedere delle risposte a livello globale.

L'Agenzia statunitense ha confermato i propri sforzi in materia di ricerca e sviluppo di nuovi farmaci, molto però deve essere fatto in materia di prevenzione ed educazione.

Il raggio di azione non dovrà riguardare solo gli ambiti “tradizionali” - come la pulizia delle mani in ambiente ospedaliero o la disinfezione delle corsie – si dovrà guardare anche alla moderna zootecnia. L'abuso di antibiotici è alla base, ad esempio, di alcune tecniche di allevamento industriale di polli e bovini, una “chimica” molto pericolosa per il consumatore finale.

La resistenza dei batteri e l'abuso di medicinali riguarda, ovviamente, anche il Vecchio Continente. I numeri sono del tutto simili a quelli messi nero su bianco Oltreoceano, secondo le ultime statistiche sarebbero circa 25.000 i pazienti uccisi da infezioni che solo quarant'anni fa sarebbero state trattate senza troppi problemi.

In Europa il contesto è, però, a macchia di leopardo. Purtroppo, l'Italia è una delle realtà in cui si registra il maggiore utilizzo di medicinali antibiotici, con percentuali addirittura triple rispetto ad alcuni Paesi dell'Europa.

Il breve ciclo biologico dei batteri ha quindi portato ad una vera e propria impennata nel numero di casi di resistenza studiati: per alcune infezioni si è passati da numeri trascurabili nel 2009 a circa un terzo di resistenze riscontrate nel 2011. I numeri – come confermato da medici e scienziati – non devono generare eccessivo allarmismo, serve comunque una “terapia d'urgenza”.

Qualcosa è stato fatto in Emilia-Romagna, dove una campagna di sensibilizzazione rivolta a medici e farmacisti delle province di Modena e Parma ha permesso di ridurre del 4% il consumo di antibiotici, causando così un risparmio per il welfare stimato tra 200 e 400mila euro. Un'esperienza positiva anche per chi sta cercando di capire come ridurre la spesa farmaceutica ospedaliera senza essere responsabile di un pericoloso calo nella qualità delle prestazioni erogate dal Sistema Sanitario Nazionale.

Per vincere la battaglia contro i microbi serve una presa di coscienza da parte di tutti gli attori coinvolti. Un ruolo importante dovrà essere svolto dalla grande industria farmaceutica, oggi disimpegnata a causa della “poca redditività” degli antibiotici.

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