Palmisano (Assobiotec): lo sviluppo parallelo di diagnostica e terapie apre la strada alla medicina personalizzata
ROMA - Il suo primo ritratto, disegnato da Odile Speed, una pittrice inglese di abiti e di nudi, apparve per la prima volta nel 1953, tra le pagine di Nature. A 60 anni da quella prima immagine, su di lui è stata fondata una nuova scienza, ancora giovane, ma molto promettente: la biotecnologia. Il signore di cui parliamo, noto soprattutto per aver migliorato e talvolta salvato la vita di tante persone, si fa chiamare DNA, un acronimo che sta per acido desossiribonucleico, il suo nome di battesimo.
E’ proprio al DNA e alla sua scoperta firmata da Rosalind Franklin, James Watson e Francis Crick (Odile Speed, chiamata a fare ‘il ritratto’ al DNA era sua moglie), che è dedicata la prima edizione della European Biotech Week (EBM) che si svolgerà dal 30 settembre al 6 ottobre, con moltissime iniziative in calendario anche nel nostro paese. A promuoverle e coordinarle è l’Assobiotec - Associazione Nazionale per lo sviluppo delle biotecnologie. ?
Osservatorio Malattie Rare ha intervistato per l’occasione Riccardo Palmisano, vice presidente di Assobiotec ed amministratore delegato di Genzyme in Italia, particolarmente esperto di quello che riguarda i risvolti del biotech nell’area della salute, il cosiddetto (Red Biotech), per distinguerlo dall’area agroalimentare (Green) e da quella industriale (White).
Dott. Palmisano, all’inizio la parola ‘biotecnologie’ ha creato delle reazioni sospettose, si è associata all’idea della manipolazione dei geni e alla creazione di chissà quali ‘mostri’. Oggi l’atteggiamento è ancora questo?
Un po’ di diffidenza è rimasta, purtroppo, soprattutto per quello che riguarda il settore agro alimentare, ma per il Red Biotech, cioè per tutto ciò che riguarda le scienze della vita, ormai i timori legati alla "pecora Dolly" si sono dissolti e hanno lasciato spazio a concrete speranze e crescenti aspettative sulla base dei risultati raggiunti negli ultimi anni. La conoscenza del DNA - e dunque le biotecnologie - hanno consentito di realizzare grandi progressi, prima impensabili, sia nel campo della diagnostica che in quello delle opzioni terapeutiche. Quanto avvenuto nell'area delle malattie rare è certamente un terreno esemplare. Senza biotecnologie non esisterebbe gran parte delle terapie che vengono utilizzate per questi malati che soffrono di malattie genetiche gravi, spesso incompatibili con la vita stessa. E i dati ci dicono che nel prossimo futuro il 70% dei farmaci sarà biotecnologico. L’unione tra la diagnosi basata sullo studio del DNA e le nuove terapie, per esempio, è quella che ha aperto la strada alla medicina personalizzata.
Può spiegarci meglio come diagnostica e terapia si potenziano a vicenda?
Oggi, grazie alla diagnostica più evoluta basata sulle nuove conoscenze, si riescono a tipizzare meglio le patologie. Addirittura questo tipo di diagnosi ci ha fatto scoprire che quella che prima veniva genericamente considerata un’unica patologia presenta invece delle varianti importanti, fino ai casi in cui si è scoperto che in realtà si può trattare di due malattie diverse, seppur connotate da manifestazioni simili. Questa tipizzazione della malattia, o meglio sarebbe dire del paziente, ci permette oggi di identificare per ciascuno la terapia più adeguata o quantomeno di distinguere chi può trarne giovamento da chi invece potrebbe non rispondere al trattamento. Di conseguenza, possiamo utilizzare i farmaci biotecnologici, spesso molto costosi a causa di processi di sviluppo e di produzione entrambi molto complessi - in maniera più efficace e senz’altro più efficiente dal punto di vista dei costi. Allo stesso tempo, avere una conoscenza più precisa delle diverse tipologie di una malattia ci permette di sviluppare altre terapie, non solo farmacologiche, ma anche di tipo più avanzato, quali la terapia genica o quella cellulare. Per le malattie rare questo ha significato sviluppare alcune terapie che prima non c’erano e aprire nuovi fronti di ricerca per quelle - e sono la maggior parte - che ancora una cura non ce l’hanno. Le patologie che ancora aspettano una risposta sono tantissime e per questo è necessario che si instauri la massima collaborazione tra chi si occupa di ricerca di base, ricerca traslazionale, produzione, e, non ultimo, accesso alle terapie. Solo facendo sistema si possono dare sempre più numerose e sempre migliori risposte ai pazienti.