Stampa

I genitori hanno diritto di sapere se il futuro figlio avrà la stessa malattia genetica del padre o della madre. Lo decide un'ordinanza del Tribunale di Milano, con la quale la Regione Lombardia e la clinica Mangiagalli vengono condannate per il rifiuto di fare la diagnosi preimpianto (Pgd), ad una coppia in cui il padre era affetto da esostosi multipla ereditaria, una condizione grave che provoca tumori alle ossa. L’ordinanza stabilisce che se all’interno di una coppia, un componente è affetto da una malattia genetica grave, tale da poter portare ad un aborto terapeutico da parte della donna, la coppia ha diritto ad ottenere la diagnosi genetica preimpianto nella struttura sanitaria dove è effettuata la procreazione medicalmente assistita, o al pagamento delle spese per effettuare tale test in altra struttura.

La vicenda inizia nel 2014, quando ad una coppia viene negata la possibilità di effettuare una diagnosi preimpianto nonostante l’uomo fosse affetto da esostosi, una grave malattia genetica alle ossa, con una possibilità di trasmissione di circa il 50% al feto. La coppia promuove, con un supporto legale, una causa civile contro la Mangiagalli e la  Regione. La sentenza della Consulta, chiamata in causa dal legale della coppia, nel 2015 ha dato il via libera affinché al test possano accedere anche le coppie fertili che hanno bisogno della procreazione assistita perché uno dei due è portatore di una malattia genetica.

“L'ordinanza ha una grande importanza – sostiene l'avvocato Gianni Baldini, legale della coppia - poiché estende il diritto alla diagnosi preimpianto in presenza di qualunque patologia genetica grave che possa comportare un aborto terapeutico. Precedenti ordinanze, infatti - come quelle dei tribunali di Cagliari e Roma - stabilivano tale diritto solo in relazione a determinate malattie”. “Questa ordinanza del Tribunale di Milano che condanna la Mangiagalli a eseguire la diagnosi genetica preimpianto, ovvero a sostenere le spese per farla eseguire da altre strutture abilitate, dimostra - spiega Baldini - come la Pgd su malattie gravi rappresenta una prestazione essenziale di assistenza. In altri termini, in linea con la sentenza 96/15 della Corte Costituzionale, vi è un criterio omogeneo di gravità della patologia, dell'embrione come del feto, in forza del quale a tutela della salute della donna sussiste la pretesa ad effettuare la diagnosi genetica sull'embrione prima per evitare un aborto terapeutico del feto dopo".

Questo sito utilizza cookies per il suo funzionamento. Maggiori informazioni