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Sono molti gli strumenti che le Regioni potrebbero adottare per garantire da un lato il governo della spesa per l’assistenza farmaceutica, quindi sostenibilità ed equità d’accesso alle cure, dall’altro innovazione e sperimentazione di nuovi farmaci che migliorino esiti e qualità dell’offerta sanitaria, per aprire le porte anche alla sostenibilità delle innovazioni terapeutiche che si affacceranno nei prossimi anni.

Tra questi la diffusione delle reti oncologiche, la definizione dei Percorsi diagnostici, terapeutici e assistenziali (Pdta), la selezione dei Centri prescrittori, l’attivazione di sistemi informativi che “parlino la stessa lingua” e leghino i dati di appropriatezza prescrittiva e di efficienza economica all’esito delle terapie. E ancora, ricorso alla Hta, coinvolgimento di gruppi di lavoro di valutazione del farmaco in seno alle Commissioni terapeutiche regionali, individuazione delle Unità farmaci antitumorali centralizzate (Ufa) e poi diffusione dei dati real life, ricorso al Vial sharing, attuazione del Drug day e inserimento del Test diagnostico di selezione biomolecolare all’interno del Pdta.
Ma il cammino è ancora in salita per molte realtà locali e i percorsi da seguire non sono stati delineati in tutte le Regioni.

Lo dimostrano i risultati preliminari del progetto di ricerca “La governance dell’innovazione farmaceutica in Italia” della Scuola Superiore Sant’Anna, presentati da Francesco Attanasio, Bruna Vinci, rispettivamente Consulente e ricercatrice della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa  nel corso del workshop “Il governo dell’innovazione farmaceutica: modelli di gestione sostenibile dei farmaci oncologici innovativi ad alto costo”, che si è tenuto nei giorni scorsi a Bari da Motore Sanità; il terzo di una serie di incontri che si terranno nelle principali città italiane per capire come sostenere l’innovazione farmaceutica alla luce della difficile sfida della sostenibilità economica.

Da quanto è emerso nel corso del confronto, nonostante gli oncologi con grande professionalità riescano a garantire ai propri pazienti la dispensazione di farmaci innovativi, in Puglia il futuro non parebbe roseo, in quanto il sistema potrebbe non reggere all’impatto dei nuovi farmaci pronti a sbarcare sul mercato, non solo da un punto di vista della sostenibilità economica ma anche organizzativo. La rete oncologica, che avrebbe dovuto prendere le mosse già dal 2008, è rimasta al palo, anche se non mancano alcune isole felici, come ad esempio a Lecce, dove i pazienti possono contare sul lavoro di gruppi multidisciplinari e Pdta attivi.
 
Rimane il fatto che la latitanza di una rete oncologica, attiva in maniera omogenea sull’intero territorio, pesa come un macigno e crea numerose problematiche: tensioni tra i professionisti che patiscono la mancanza di una cabina di regia che consenta di superare la logica del silos; impedisce una trasmissione di dati e la condivisione dei trattamenti terapeutici (nonostante la Puglia abbia investito a livello informatico e vanti un programma unico di prescrizione regionale “Edotto”); effetti negativi sull’accessibilità al percorso di cura dei pazienti; una perdita di attrattività dei pazienti costretti a migrare in altre Regioni e, non ultimo, mancati risparmi in termini di ricoveri evitati.
 
La Regione è comunque in una fase di ridefinizione del sistema e dell’offerta sia ospedaliera che territoriale, e l’auspicio di tutti è che si faccia in fretta per riuscire a garantire percorsi di cura efficienti e sostenibilità per l’innovazione.

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