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Presentato l’XI Rapporto sulle politiche della cronicità di Cittadinanzattiva

Se in famiglia c’è un anziano malato cronico, sono guai, non solo economici. Parliamo di migliaia di persone: in Italia nel 2011 (dati Istat) oltre il 50 per cento di chi ha tra i 65 e i 74 anni di età ha almeno una patologia cronica e, di questi, solo il 30 per cento dichiara di essere in buona salute. Il 12,2 per cento degli ultrasessantacinquenni vive uno stato di povertà relativa e il 5,4 per cento di povertà assoluta.


A far luce sulle problematiche dell’assistenza socio-sanitaria agli anziani malati cronici, e sull’inevitabile risvolto sulle loro famiglie, è l’XI Rapporto nazionale sulle politiche della cronicità “Emergenza famiglie: l’insostenibile leggerezza del Welfare”, presentato oggi a Roma dal CnAMC (Coordinamento nazionale delle Associazioni dei Malati Cronici) di Cittadinanzattiva. Il Rapporto nasce da dati acquisiti da 28 delle 86 associazioni nazionali, rappresentative di oltre 100 mila cittadini affetti da patologie croniche.

Ad occuparsi della cura ed assistenza all’anziano malato cronico è, in più della metà (56 per cento) dei casi, un solo nucleo familiare. Ciascuna famiglia dedica mediamente all’assistenza del familiare anziano oltre 5 ore al giorno. Tale situazione, in circa il 93 per cento dei casi, non permette ai componenti delle famiglie di conciliare l’orario lavorativo con le esigenze di assistenza, al punto che oltre la metà (53,6 per cento) segnala licenziamenti e mancati rinnovi o interruzioni del rapporto di lavoro. A tutto ciò va aggiunta la difficoltà crescente di fronteggiare i costi legati alla cura dell’anziano malato cronico. Solo per fare alcuni esempi, le famiglie mediamente spendono in un anno circa 8.500 euro per il supporto assistenziale integrativo alla persona (badante), 3.700 euro per lo svolgimento di visite, esami o attività riabilitativa a domicilio. Quasi 14 mila euro, in media, è il costo per la retta delle strutture residenziali e/o semiresidenziali.

Secondo i dati diffusi dalla Corte dei Conti, inoltre, proprio nelle Regioni dove è più critica l’offerta assistenziale, vi è anche una maggiore incidenza di ticket sanitari (diagnostica, specialistica e farmaci) e maxialiquote, con valori procapite relativi al 2011 che oscillano tra i 181 euro del Lazio e i 43 euro del Trentino Alto Adige.

“E’ inaccettabile e ai limiti della costituzionalità: lo Stato si sta tirando indietro rispetto alle responsabilità in materia di assistenza sanitaria e sociale, e il peso di tutto ciò, ormai insostenibile, è scaricato completamente sulle spalle e sulle tasche delle famiglie. Dopo il taglio di 25 miliardi e 500 milioni di euro alla sanità maturato negli ultimi anni, comprensivi della previsione delle risorse che saranno sottratte con la legge di stabilità, e l’azzeramento dei Fondi a carattere sociale, ora si parla di tassare le pensioni e gli assegni di invalidità: saremmo davvero alla fine delle politiche sociali nel nostro Paese”. È quanto afferma Tonino Aceti, responsabile nazionale del CnAMC di Cittadinanzattiva. “Oggi sono concretamente a rischio la garanzia dei Livelli Essenziali di Assistenza e il mantenimento dei servizi e degli interventi sociali dei Comuni, con particolare riguardo a quelli del Mezzogiorno. L’imposizione dell’IRPEF sulle indennità d’invalidità civile, oltre ad essere una misura insopportabile per i cittadini, sembra essere in contrasto con la natura delle stesse indennità: come ha ricordato la Corte di Cassazione, con l’ordinanza del 26 giugno 2012, l’assegno di invalidità costituisce “una provvidenza destinata non già a integrare il minor reddito dipendente dalle condizioni soggettive, ma a fornire alla persona un minimo di sostentamento, atto ad assicurarne la sopravvivenza”. Se si arriva a tassare anche le minime forme di sostentamento, non già i privilegi di pochi, siamo davvero alla frutta”.

Fuori dall’ospedale, il vuoto dell’assistenza territoriale

Se il paziente anziano viene dimesso dall’ospedale, in un terzo dei casi è la famiglia ad occuparsi di tutto, senza aver ricevuto alcun orientamento. Per il 52 per cento delle Associazioni, il medico di medicina generale fornisce solo le indicazioni degli uffici a cui rivolgersi, ma poi devono provvedere i familiari; e solo  per il 15 per cento di esse, il medico di famiglia fa tutto il necessario dopo le dimissioni.

Nel 76 per cento dei casi, contestualmente alle dimissioni ospedaliere, non viene attivata l’assistenza domiciliare. In due casi su tre, il medico di famiglia non interagisce con  ASL e Comuni  per l’attivazione dei servizi socio sanitari  e per il 70 per cento delle Associazioni non si integra con lo specialista. Riguardo all’assistenza domiciliare integrata (ADI), il 65,3 per cento lamenta difficoltà nell’attivarla, il 50 per cento la scarsa integrazione tra gli interventi di tipo sanitario e di tipo sociale e un numero di ore insufficiente.

Quasi nessuno è soddisfatto dell’assistenza che riceve a casa: solo il 27 per cento la considera mediamente adeguata, e per il restante 73 per cento essa è inadeguata.
Sull’assistenza domiciliare integrata, è marcata la variabilità regionale: 1,5 per cento di anziani trattati in Sicilia, nel 2010, a fronte dell’ 11,6 per cento dell’Emilia Romagna. Stessa variabilità per la spesa pro capite per interventi e servizi sociali: si va dai 25,5 euro della Calabria ai 269,3 euro della Valle D’Aosta; con riferimento ai Comuni, si passa dagli 88 euro pro capite di Napoli ai 434 euro di Trieste.

Per accedere all’assistenza residenziale e semiresidenziale, il primo problema segnalato sono i tempi di attesa eccessivamente lunghi: il 39 per cento afferma che si aspetta tra i 3 e i 6 mesi, il 13 per cento attende anche più di 6 mesi.

 

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