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Anche di questo si è parlato all’incontro ‘Uniti&Rari’ a Città della Scienza di Napoli

Uniti&rari, questo il titolo del convegno, organizzato dalla cooperativa di comunicazione scientifica CodiCS, tenutosi a Napoli venerdì scorso – 27 maggio – per fare il punto su malattie rare e farmaci orfani. A promuovere l’incontro, che si è tenuto alla Città della Scienza, è stata la Simg - Società italiana di medicina generale presieduta per la Campania da Giovanni Arpino. Molta attenzione è stata data al ruolo del medico di famiglia nel sistema delle malattie rare, è da lì, infatti,  che spesso parte la lunga procedura che porta alla diagnosi ed indirizza verso gli approfondimenti medici adeguati. Ed è sempre il medico di medicina generale quello che, anche dopo la diagnosi, sarà a più stretto contatto con il paziente. Lo ha ribadito Gaetano Piccinocchi, Segretario Organizzativo Nazionale della Simg: “Obiettivo di un efficace ed efficiente Servizio Sanitario Nazionale – ha detto - dovrebbe essere quello di far crescere nei medici di famiglia la cultura delle malattie rare per migliorare le risposte assistenziali e di conseguenza la qualità di vita dei propri pazienti. Le malattie rare offrono importanti criticità in tutto l’arco del loro iter curativo, dalla diagnosi, che spesso richiede anni, alla terapia, che spesso dura tutta la vita quando c’è e che spesso non si basa su terapie farmacologiche specifiche, al controllo della malattia e delle complicanze e, per finire, con la presa in carico. Il medico di famiglia, infatti, si trova spesso di fronte ad un assistito in cui la malattia progredisce e porta invalidità e disabilità tanto in età pediatrica quanto in età adulta – ha spiegato  Piccinocchi – Per lo più mancano informazioni e strumenti utili per aiutare il medico di famiglia sia nella sua formazione sia nel suo quotidiano lavoro con i pazienti. Questo rende difficile una efficace presa in carico del paziente nel nostro paese. Invece secondo il segretario della Simg proprio il medico di medicina generale dovrebbe essere il l 'case manager', cioè l’operatore che si fa carico di tutte le esigenze della persona assistita, intervenendo anche nei rapporti con la famiglia, le istituzioni, il personale sanitario e a lui non dovrebbe sfuggire nulla di quanto accade al paziente. Dovrebbe essere formato in modo tale da “riconoscere, definire e trattare, tutto quanto meriti di essere riconosciuto, definito, trattato”.
Ciò nonostante a fare diagnosi sono soprattutto gli specialisti in più di 8 casi su 10, mentre i medici di medicina generale ipotizzano una malattia rara solo nel 4,2  per cento dei casi (molto di più i pediatri che arrivano quasi al 17 per cento), pur sapendo che tra i 1500 assistiti di un medico di famiglia vi dovrebbero essere dai 4 agli 8 pazienti con malattia rara.

Nel corso del convegno si è poi fatto notare che anche quando la diagnosi viene effettuata da un centro di riferimento, spesso è il paziente stesso che funge da raccordo con il proprio medico, riportando i contenuti della comunicazione e nello stesso tempo ponendo domande su prognosi e prospettive terapeutiche. Tutto ciò denota una totale mancanza di informazioni e di strumenti utili per aiutare il medico di medicina generale sia nel suo percorso formativo, sia nel suo lavoro quotidiano nei confronti di tali pazienti.
Certo, molto dipende anche dall’organizzazione della rete delle malattie rare delle specifiche regioni, alcune – come la Lombardia tramite il Centro del Mario Negri – hanno attivato tutta una serie di servizi on line dedicati proprio al medico di medicina generale e lo stesso sta facendo la Toscana, ma si tratta per lo più di eccezioni in un sistema che vede il medico di famiglia ancora in difficoltà davanti al ‘malato raro’.
“Andrebbero quindi colmate – ha concluso Gaetano Piccinocchi - sia le carenze informative (normativa vigente, centri di riferimento locali, diritti all’esenzione ticket), sia carenze formative (ECM – ASL – industria farmaceutica) che porrebbero il medico di famiglia a ricoprire quel ruolo di indirizzo ad un centro specialistico al primo sospetto, e di tramite tra centro e paziente e di garanzia della continuità assistenziale”.


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