Scoperta solo quattro anni fa, associa dismorfismi craniofacciali e disturbi dello spettro autistico.
La dr.ssa Giulia Pascolini: “Sono in corso studi promettenti su una molecola da inalare, sostitutiva del difetto genico”
Roma – La sindrome di Helsmoortel-Van der Aa (HVDAS) è una malattia di recente acquisizione: il gene responsabile è stato individuato solo nel 2014, dagli autori da cui deriva l’eponimo. Si tratta di un raro disturbo del neurosviluppo che si caratterizza per la presenza di dismorfismi craniofacciali (bozze frontali prominenti, downslanting palpebrale, ptosi, ponte nasale ampio, labbro superiore sottile, filtro nasolabiale liscio) in associazione a disabilità intellettiva (soprattutto disturbo dello spettro autistico).
“I casi ad oggi noti non sono molti, anche se probabilmente è una condizione sotto-diagnosticata”, spiega la dr.ssa Giulia Pascolini, dell'U.O.C. Laboratorio di Genetica Medica dell'Azienda Ospedaliera San Camillo-Forlanini di Roma. “La causa molecolare risiede in mutazioni deleterie, trasmesse con modalità autosomica dominante da genitori non portatori, che colpiscono il gene ADNP, un fattore di trascrizione importante per lo sviluppo del sistema nervoso centrale. La diagnosi è clinica e può essere confermata con la ricerca di mutazioni patogenetiche in ADNP”.
La dr.ssa Pascolini è il primo autore dello studio appena pubblicato sulla rivista European Journal of Paediatric Neurology insieme alla prof.ssa Paola Grammatico, direttore del Laboratorio del San Camillo-Forlanini, alla dr.ssa Silvia Majore, responsabile dell'U.O.S. Genetica Clinica, e in collaborazione con i ricercatori dell'Ospedale Pediatrico Bambino Gesù Emanuele Agolini, Antonio Novelli e Maria Cristina Digilio. L'équipe ha descritto due nuovi casi di pazienti in età pediatrica, derivanti dall’attività clinica delle due strutture sanitarie.
“In questo lavoro abbiamo provveduto a revisionare gli altri casi descritti identificando un sito proteico in cui si verificano la maggior parte delle mutazioni che si associano ad un coinvolgimento oculare più marcato”, prosegue la genetista. Tra i dismorfismi dovuti alla malformazione della regione periorbitale, infatti, la ptosi sembra essere particolarmente ricorrente nella sindrome.
Per il momento non è stata ancora messa a punto una terapia specifica, anche se sono in corso studi promettenti che riguardano l’utilizzo di una molecola da inalare, sostitutiva del difetto genico, con azione sulle funzioni neurologiche. “Ovviamente è un trattamento ancora in fase di sperimentazione, ma ci auguriamo comunque che la ricerca scientifica possa progredire in questo senso”, conclude la dr.ssa Pascolini. “Il nostro contributo come genetisti clinici sarà quello di valutare altri casi e fornire un adeguato supporto multidisciplinare alle famiglie, oltre che ampliare le conoscenze riguardo il fenotipo della condizione”.