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Diagnosi prenatale e uso delle cellule staminali: i due argomenti, che tanto spesso dividono sul terreno dell’etica, hanno trovato ora un’alleanza a favore della vita e, in particolare, per una vita migliore. Sembra infatti che conservando solo 3 millilitri di liquido amniotico – una parte di quelle normalmente prelevato a chi si sottopone ad amniocentesi – si possa disporre di una riserva di staminali mesenchimiali potenzialmente in grado di svilupparsi in tessuto osseo, cartilagineo, adiposo, miocenico, neurale, epatico, renale ed endoteliale. In poche parole si avrebbe a disposizione una fonte di produzione di tessuti da usare a scopo rigenerativo nel caso in cui il bambino nasca, o vado poi incontro nella vita, a malformazioni, malattie o traumi importanti. La novità è stata annunciata ieri da Claudio Giorlandino, segretario generale della Sidip  - Società italiana di diagnosi prenatale e medicina materno fetale, intervenuto a Milano a un incontro promosso da Biocell Center, un’azienda privata della provincia di Varese che offre già la crioconservazione di staminali da liquido amniotico a uso autologo, cioè ad uso della famiglia stessa che le deposita, cosa che le leggi italiane non permettono,  eccetto casi di particolari malattie, per il cordone ombelicale.

Conservare il liquido amniotico non comporta nessuna procedura aggiuntiva a quella di amniocentesi, un esame invasivo ma sempre più frequentante richiesto dalle donne in attesa al fine di individuare precocemente alcune malattie di origine genetica o cromosomica. Ad essere conservata è infatti una piccola frazione del liquido normalmente raccolto, la prima estratta, che non viene utilizzata per la diagnosi prenatale in quanto potrebbe essere contaminata da cellule della pelle materna. L'opzione proposta, dunque, è quella di congelare questo materiale invece di buttarlo.
“Una piccolissima frazione di liquido amniotico - calcola Giuseppe Simoni, direttore scientifico di Biocell Center – è in grado di fornire da 20 mila a 30 mila cellule, una quantità sufficiente per eventuali utilizzi terapeutici futuri”. Naturalmente al momento le applicazioni terapeutiche di queste staminali sono ancora in fase di studio. L’azienda afferma che le possibili applicazioni potrebbero essere ben 160.
“Due sono i principali filoni di ricerca – ha spiegato Simoni - Il primo è la rigenerazione di tessuti solidi. Le più importanti ricerche in tal senso sono condotte dal professor Dario Fauza dell'Harvard Medical School di Boston (Usa), che ha utilizzato le staminali da liquido amniotico per ricostruire in laboratorio una parte di diaframma, un segmento di trachea e uno sterno, che poi ha impiantato alla nascita in ovini affetti da gravi malformazioni congenite. La prospettiva è utilizzare le cellule presenti nel liquido amniotico per generare dei tessuti da trapiantare in bambini che nascono con gravi patologie. Il secondo filone riguarda invece la terapia cellulare di malattie che non hanno un'origine genetica. Una delle principali applicazioni in fase di studio è la cura della degenerazione maculare e della retinite pigmentosa attraverso la creazione di epitelio pigmentato retinico e fotoricettori, un progetto in collaborazione con il Dipartimento di oftalmologia dell'Harvard Medical School”.
Secondo il segretario generale della Sidip l’uso di queste staminali e questo tipo di conservazione non dovrebbe porre di fronte ai problemi che invece si conoscono per l’uso delle staminali embrionali, che oltre ad essere ‘difficili’ sotto il profilo etico sono anche elevatamente instabili geneticamente e dunque, nonostante le gradi potenzialità, più difficili da utilizzare. “Le staminali amniotiche – ha infatti precisato Giorlandino - non presentano questo tipo di problemi perchè, grazie alla loro elevata capacità proliferativa, si supera l'ostacolo della scelta tra la donazione solidale e la conservazione autologa e il metodo di prelievo non influisce sullo sviluppo del feto. Conservare il liquido amniotico raccolto durante l'amniocentesi - conclude il numero uno della Sidip - permette così di coniugare la diagnosi prenatale con la possibilità di garantire al proprio bambino un campione di cellule staminali assolutamente compatibili di cui disporre in futuro”.
Tuttavia, proprio questa possibilità di fare qualche cosa di utile per la salute del proprio figlio, potrebbe avere l’effetto di spingere più donne verso l’amniocentesi, andando sia in direzione opposta delle ultime linee guida sulla maternità sia, probabilmente, urtando la sensibilità del fronte cattolico, generalmente poco incline ad incentivare la diagnosi prenatale.    

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