BRUXELLES - Il prof. Noia è uno dei fondatori della medicina fetale, disciplina che riconosce al feto la dignità di paziente. Un approccio che enfatizza la dignità del feto come paziente, a tutti gli effetti, anche in condizioni patologiche ritenute fino a pochi anni fa incurabili. Partendo da questo punto di vista la diagnosi prenatale assume una luce nuova. Contrapponendosi alla visione che la vorrebbe finalizzata solamente all’eliminazione dei feti con anomalie congenite diviene, con la medicina fetale, il punto di partenza per cercare soluzioni terapeutiche capaci di garantire vita e salute al nascituro. Su questa volontà il lavoro del prof. Noia incontra quella di MAGI dando luogo ad una collaborazione che per ora riguarda lo studio dell’Igroma Cistico e quello del funzionamento a scopi terapeutici della cellule staminali mesenchimali, amniotiche e cordonali ematopoietiche.
L’IGROMA CISTICO. Tra le patologie che spesso, quando diagnosticate durante la gestazione, inducono all’interruzione di gravidanza, c’è l’Igroma Cistico, un accumulo di liquidi dietro la nuca del feto che può raggiungere dimensioni ragguardevoli dovuto ad una alterazione del sistema linfatico durante l’embriogenesi. Fino a poco tempo fa si riteneva che tutte queste condizioni fossero foriere, nel 100% dei casi, di malattie genetiche o cromosomiche associate a un elevato tasso di cardiopatie. Una delle ultime ricerche fatte dal prof. Noia, che fra poco vedrà la pubblicazione, induce a rivedere queste convinzioni.
Professore ci può dare delle anticipazione sullo studio che sta per uscire?
Lo studio ha riguardato 220 gravidanze con diagnosi di Igroma Cistico, tutte donne che arrivavano presso il Centro Diagnosi Terapie Fetali del Gemelli con la diagnosi fatta in altra sede e ‘consiglio’ di aborto volontario, ma che, invece, cercavano una speranza per non rassegnarsi. Abbiamo capito che era necessario dar loro molte più informazioni sulla reale condizione del feto, pur nella consapevolezza che per molti casi si sarebbe verificato, come è poi avvenuto, un aborto spontaneo. Dunque le abbiamo sottoposte ad analisi cromosomica per verificare quali bimbi fossero affetti da altre condizioni genetiche, patologiche oltre all’igroma e, dopo aver fatto l’amniocentesi, abbiamo trovato che i cromosomi fetali erano normali nel 55% dei casi. Alla fine sono nati 50 bambini sani, che altrimenti sarebbero stati condannati, per la diagnosi ricevuta, a non nascere. Di questi, 31 li abbiamo seguiti con follow up di lungo periodo, anche di 18 anni, e 21 sono ancora oggi soggetti sani, mentre 10 hanno rivelato delle forme di problematiche perinatali. Insomma non è vero che questi bimbi sono condannati, il 68% nasce ed è sano a un lungo follow up.
Passiamo alle sue ricerche sulle staminali, su cosa si sta concentrando?
Sto lavorando sulle mesenchimali amniotiche, contenute nel liquido che circonda il bambino nella vita fetale, studiando – per ora solo su modelli animali – il loro uso come terapia fetale futura per malattie genetiche, e sulle staminali ematopoietiche del cordone ombelicale. L’obiettivo è trapiantare il feto quando ancora la sua reazione immunitaria è bassa o inesistente, quindi in un periodo molto precoce, per arrivare alla nascita di bimbi sani. Abbiamo provato a fare il trapianto inserendo le cellule staminali nella cavità celomatica tra 30 e 40 giorni di età gestazionale nelle pecore (corrispondente alla 11esima settimana nell’uomo) e abbiamo dimostrato che queste cellule hanno grande capacità di muoversi da una zona anatomica fuori dal ricevente (cavità celomatica) all’interno degli organi dello stesso (fegato, milza, midollo osseo e altri) dimostrando che c’è stato il 100% di attecchimento negli organi ematopoietici e in altri organi. Però dopo circa un anno e mezzo c’è una forma di rigetto che fa diminuire la percentuale di attecchimento. Gli obiettivi dunque ora sono due: cercare di fare il trapianto ancora prima, sotto quel tempo che corrisponde alla decima settimana nell’uomo, e capire come indirizzare queste cellule verso i posti giusti. Il nostro obiettivo è l’anemia mediterranea (beta talassemia maior) ma questo approccio si potrebbe estendere anche ad altre patologie e in questi ci è utile il lavoro di MAGI.
In che modo sta collaborando con l’Istituto di genetica Magi?
Questa collaborazione è molto importante per entrambe i progetti. Per l’Igroma ci consente di avere un laboratorio che esegue i test genetici necessari allo studio della patologia, sia sulle madri che sui bimbi, al fine di poter individuare un eventuale gene predisponente o fare consulenze per escludere le prognosi peggiori. E’ un primo passo per poter pensare poi a delle terapie in grado di salvare la vita ad un numero maggiore di questi bambini. Per gli studi sulle staminali invece MAGI ci sta aiutando ad individuare altre malattie genetiche da trattare prenatalmente. In comune abbiamo la volontà di combattere queste malattie che rappresentano 1/3 dei ricoveri pediatrici per il 50% del costo complessivo delle prestazioni. Se si riuscisse ad intervenire in età fetale non solo avremmo fatto un grande passo per la vita ma daremmo anche un grande contributo al sistema sanitario in questo periodo di crisi.