La scoperta dal team di Elisabetta Dejana dell' IFOM di Milano: "Ancora lontani dalla sperimentazione clinica sull'uomo, ma risultati incoraggianti"
Il meccanismo che permette ai mesoangioblasti, particolari cellule staminali progenitrici del muscolo scheletrico, di raggiungere il muscolo danneggiato con maggiore efficienza e dunque di riparare con migliore efficienza il danno causato da queste gravi patologie, è stato svelato.
Merito di uno studio realizzato dal team di Elisabetta Dejana dell'Istituto FIRC di Oncologia Molecolare e dell’ Università di Milano in collaborazione con San Raffaele di Milano e University College di Londra. Lo studio, pubblicato su EMBO Molecular, descrive un meccanismo finora sconosciuto che permette a cellule staminali dei muscoli di riparare i danni della malattia con maggiore efficienza.
Attualmente per le distrofie muscolari di origine genetica non esistono terapie efficaci, ma sono attualmente in corso numerose sperimentazioni precliniche che potrebbero offrirci terapie per l’immediato futuro. E’ questo il caso dell’approccio sperimentale sul quale lavora il Prof. Giulio Cossu presso l’Ospedale San Raffaele di Milano e basato sul trapianto di mesoangioblasti: queste cellule vengono isolate dai muscoli di donatori compatibili e iniettate nella circolazione sanguigna di pazienti affetti da Distrofia Muscolare di Duchenne. Ma questo approccio sperimentale incontra molti ostacoli che ne diminuiscono l’efficacia: uno dei principali consiste nella necessità per i mesoangioblasti di superare le pareti endoteliali dei vasi sanguigni per raggiungere il muscolo distrofico malato e generare così nuove e funzionali fibre muscolari. In questo passaggio solo un limitato numero di cellule riescono a raggiungere il tessuto danneggiato.
“Proprio per superare questo limite – spiega Elisabetta Dejana – il nostro studio ha identificato in laboratorio un nuovo meccanismo d’azione in grado di aumentare il flusso di mesoangioblasti attraverso le pareti dei vasi sanguigni, garantendo quindi il raggiungimento del muscolo danneggiato”.
Questo aumentato flusso viene finemente regolato da particolari “passaggi a livello”, chiamati giunzioni endoteliali, che selezionano accuratamente cosa lasciar passare e quando. Agendo dunque sulle molecole che regolano l’azione di tali “passaggi a livello” si può aumentare il numero di mesoangioblasti capaci di raggiungere il muscolo distrofico.
“Modulando l’attivitá di JAM-A, proteina altamente coinvolta nelle giunzioni endoteliali, in un modello animale affetto da distrofia muscolare il numero di cellule staminali che ripopolano e rigenerano il muscolo danneggiato aumenta”, spiegano le ricercatrici Monica Giannotta e Sara Benedetti, prime autrici della ricerca, “e l’aumentata rigenerazione muscolare corrisponde di fatto ad un significativo miglioramento della funzionalitá muscolare dei topi distrofici che mantengono e a volte perfino migliorano la loro capacità di correre”.
Lo studio condotto all’IFOM di Milano ha permesso quindi di identificare delle molecole che potrebbero essere utilizzate in futuro per migliorare l’efficacia delle terapie cellulari per il trattamento delle distrofie muscolari. “Ovviamente siamo ancora lontani dalla prospettiva di una sperimentazione a livello clinico – precisa Elisabetta Dejana - ma i risultati sono incoraggianti e lo studio è un chiaro esempio di come la ricerca di base sia fondamentale per il miglioramento delle strategie terapeutiche. Lo sviluppo di questi risultati – continua la ricercatrice – potranno fornirci anche degli elementi conoscitivi preziosi anche per lo studio delle patologie tumorali, in particolare per le metastasi. La modulazione di JAM-A si potrebbe rivelare strategica nel bloccare la disseminazione tumorale attraverso le pareti dei vasi sanguigni”.
Lo studio condotto da IFOM è stato possibile grazie al sostegno, tra gli altri, dei programmi Optistem ed Endostem della Comunità Europea e dall’Associazione Italiana per la Ricerca sul Cancro.