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Un team di scienziati provenienti dalla Brown University e da altri istituti di ricerca americani, ha recentemente condotto uno studio che sembra illustrare il meccanismo che determina lo sviluppo della fibrosi polmonare nei pazienti affetti dalla rara malattia genetica conosciuta col nome di sindrome di Hermansky-Pudlak (HPS). Inoltre, attraverso una serie di esperimenti eseguiti su modelli murini, i ricercatori sembrano aver individuato due potenziali strategie per il trattamento di questa grave e progressiva menomazione dei polmoni. I risultati dello studio sono stati pubblicati sulla rivista specializzata Journal of Clinical Investigation.

La sindrome di Hermansky-Pudlak (HPS) rappresenta una rara patologia ereditaria caratterizzata da albinismo oculocutaneo (OCA), colite granulomatosa e lenta coagulazione sanguigna. Tuttavia, i pazienti affetti da due specifici sottotipi di questa malattia, denominati HPS-1 e HPS-4, sviluppano una fibrosi polmonare progressiva e incurabile che inizia a manifestarsi con sintomi di difficoltà respiratoria intorno ai 30-40 anni d'età e che, generalmente, porta alla morte nel giro di un decennio.
Nello studio in questione, i ricercatori hanno innanzitutto cercato di comprendere il processo che causa l'insorgenza della fibrosi polmonare nei pazienti affetti da HPS. Normalmente, un polmone sano reagisce ad eventuali danni fisiologici, come quelli dovuti a fumo o polvere, producendo la proteina CHI3L1 (chitinase-3-like-1), che impedisce la morte delle cellule del polmone e che ripara le aree danneggiate ricoprendole con collagene. Questo processo di cicatrizzazione risulta innocuo se non avviene in maniera eccessiva.

La proteina CHI3L1 previene la morte delle cellule polmonari interagendo con un'altra proteina che è presente sulla superficie delle stesse cellule e che è denominata IL-13R(alpha)2, ossia 'recettore alfa 2 dell'interleuchina-13'.

I ricercatori hanno osservato che i pazienti con HPS-1 non sono in grado di produrre una quantità adeguata di IL-13R(alpha)2, per cui la proteina CHI3L1 non riesce a fermare la perdita delle cellule del polmone. Dato che questo processo di danneggiamento cellulare non può essere bloccato, l'organismo è stimolato a produrre una quantità sempre maggiore di CHI3L1, la quale continua ad intervenire causando la patologica e inarrestabile formazione di cicatrici che caratterizza la fibrosi polmonare.
Il ruolo di CHI3L1 nell'insorgenza della fibrosi polmonare sembra essere confermato dal fatto che gli esami del sangue hanno mostrato come i livelli di questa proteina siano significativamente più elevati nei pazienti con HPS-1 piuttosto che in quelli affetti da una forma di HPS non associata a patologia polmonare. Secondo gli autori dello studio, tali risultati sembrano suggerire che l'aumento dei livelli di CHI3L1 possa rappresentare un biomarcatore per la diagnosi di un eventuale sviluppo di fibrosi polmonare.
Sulla base delle osservazioni compiute, i ricercatori hanno eseguito una serie di esperimenti su modelli murini affetti da HPS-1 che sembrano aprire la strada a due potenziali strategie terapeutiche per il trattamento della fibrosi polmonare.
Innanzitutto, gli studiosi sono stati in grado di ottenere una maggiore sopravvivenza delle cellule polmonari stimolandole a produrre quantità di IL-13R(alpha)2 molto più elevate della norma.

In secondo luogo, sono riusciti a rallentare la cicatrizzazione dei polmoni sopprimendo una specifica proteina, denominata CRTH2, con cui interagisce CHI3L1 per promuovere la riparazione del tessuto polmonare mediante collagene.

"Abbiamo ancora molto lavoro da fare”, ha affermato il dott. Elias, uno dei principali autori dello studio e Preside della Facoltà di Medicina e Scienze Biologiche della Brown University. “Se siamo in grado di dimostrare che gli attuali inibitori della proteina CRTH2 sono in grado di funzionare nei nostri modelli murini, potremmo procedere verso un programma di sperimentazione umana il più rapidamente possibile”.

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