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“Siamo le famiglie che vedono i figli star male perché nati nella provincia sbagliata”

“Parlo a nome delle famiglie e dei malati e delle moltissime associazioni che li rappresentano, soggetti, questi, cui troppo speso non viene data voce. Siamo quelli che vivono sulla propria pelle la malattia, ancora prima che questa venga diagnosticata e sia presa in considerazione da un punto di vista medico. Siamo le famiglie che vagano da una regione ad un’altra per avere una diagnosi perché, se residenti nella provincia sbagliata, non abbiamo avuto la possibilità di far fare al nostro bambino lo screening neonatale quando anche non abbiamo avuto una diagnosi sbagliata, e magari nel frattempo abbiamo messo al mondo un alto (o altri)  figli con la stessa patologia. Ma siamo anche quelli che hanno una malattia talmente rara che non è neppure inserita nei panels delle patologie screenabili, perché non esiste una cura o è benigna o è ad esordio tardivo”.


Comincia così l’appello che Manuela Pedron, vice presidente di AISMME - Associazione Italiana Sostegno alle Malattie Metaboliche Ereditarie ha lanciato pochi giorni fa in occasione del convegno organizzato da Cittadinanzattiva sul percorso nascita e gli screening neonatali.

“Sappiamo tutti – ha continuato – che oggi con un singolo test è possibile fare una diagnosi precoce per un numero fino a 50 patologie, inesorabilmente progressive e fortemente invalidanti, offrendo la possibilità di cure e trattamenti dietetici che risparmierebbero ai piccoli malati sofferenze e disabilità se non anche la morte. Eppure ad oggi in Italia vengono screenati 150.000 sui quasi 600.000 bambini che nascono ogni anno, una copertura soltanto del 25 per cento. Tenuto conto degli ultimi dati della Toscana, dall’ottobre 2001 all’agosto 2011, su oltre 285.000 bambini screenati ben 166 sono risultati affetti da varie patologie metaboliche, vale a dire 1 su 1.700. Questo dà la misura di quanti casi sfuggano all’identificazione immediata della patologia, con l’avvio per famiglie e bimbi su una strada che è un vero e proprio calvario. Infatti, la possibilità di agire sulla malattia prima che ne compaiano i sintomi è la chiave della prevenzione della disabilità, soprattutto neurologica, che deriva da queste malattie, con una forte ricaduta sull’individuo, sulla famiglia, ma anche sull’intera società”. L’augurio dell’associazione, che aderisce alla federazione Uniamo, è che la nuova attenzione che si è di recente generata su questo argomento porti finalmente all’attivazione di un programma di screening di massa.

“Abbiamo gli strumenti – ha detto la Pedron - le Tandem Mass, che potrebbero coprire un numero superiore al doppio dei nuovi nati in Italia. Abbiamo già pronto un protocollo elaborato dalle Società medico-scientifiche per la sua applicazione. Sappiamo ormai tutti che la prevenzione, in questo come in altri campi, ha un costo enormemente inferiore a quello che si deve sostenere a causa di una diagnosi tardiva. Si muove il mondo della ricerca, che fa continui passi avanti. E anche l’opinione pubblica è ormai resa sensibile di fronte alle problematiche delle malattie rare”.

Aismme ha partecipato con Uniamo alla stesura degli emendamenti al Decreto del Ministro Balduzzi presentati nei giorni scorsi alla  XII Commissione Affari Sociali.

Ecco le richieste principali in tema di screening neonatale:


1.includere lo screening neonatale allargato nei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA).

2. inserire nel panel delle malattie screenabili tutte le patologie, non solo quelle per cui esiste cura e trattamento dietetico, ma anche le patologie benigne (malattie che probabilmente non si manifesteranno) e le patologie ad esordio tardivo (molte sono lisosomiali). Questo perché alla comparsa dei primi sintomi, quando ad esordio tardivo, questo farebbe evitare alle famiglie pellegrinaggi diagnostici dal momento che le malattie sono spessissimo difficilmente diagnosticabili; eviterebbe la trasmissibilità della patologia ai figli;  permetterebbe di confrontare e valutare i dati raccolti dal registro nazionale malattie rare consentendo l’implemento delle patologie (possibilmente screenabili in tandem mass) dei pannelli di screening; infine, attraverso i dati Ministeriali indirizzerebbe la ricerca scientifica alla ricerca di cure e trattamenti per le nuove patologie che si presentano con una certa frequenza. La curabilità non può essere il solo parametro per lo screening.

3. guardare oltre al test. L’esecuzione dello screening rappresenta solo il primo passo di un intervento di medicina preventiva che coinvolge necessariamente anche il follow-up, la diagnosi, la presa in carico, il trattamento e la rivalutazione. Lo screening è veramente utile quando ogni diagnosi genera un appropriato percorso di cura, continuo, globale e centrato sul binomio indissolubile paziente/famiglia e medico.

4. puntare alla realizzazione di un coordinamento nazionale che dia una regia univoca e un impulso all’incremento e alla sostenibilità degli screening attraverso il servizio sanitario nazionale. Per i 32 centri di screening esistenti in tutta Italia bisogna provvedere alla creazione di un gruppo di esperti e tecnici che, lavorando insieme sotto l’egida del Ministero e dell’Istituto Superiore Sanità, possano istruire e preparare i centri screening regionali già esistenti - e/o accorparli in varie aree geografiche - per una riorganizzazione generale e uniforme e per la conseguente attivazione dello screening allargato in tutto il territorio nazionale. Questo permetterebbe di risparmiare tempo e risorse, e nel giro di poco tempo portare tutte le strutture predefinite allo stesso livello di outcome con la certificazione di qualità degli stessi.

5. Infine, nella programmazione di un programma di screening allargato, non bisogna dimenticare il contributo di esperienza e conoscenza che possono offrire i malati e le loro famiglie, anche attraverso le diverse associazioni. Anche in questo ambito la messa in rete delle competenze non può avere che effetti positivi.

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