Secondo uno studio FIASO, per ogni 1000 euro investiti dalle aziende farmaceutiche negli studi clinici, il sistema ne risparmia 2.200. Tra le maggiori criticità: burocrazia e comitati etici a volte lenti
La Federazione Italiana Aziende Sanitarie e Ospedaliere (FIASO), nell'ottobre scorso, in occasione della prima Convention del Management della Sanità italiana, ha resi noti i dati sugli andamenti delle sperimentazioni cliniche nel nostro Paese. Nel triennio 2013-2015, i trial riguardanti nuovi medicinali sono stati 6.332 (4.409 for profit e 1.923 no profit), a cui vanno aggiunti studi sui nuovi dispositivi medici (507, 202 for profit e 305 no profit) e osservazionali (2.865, 610 for profit e 2.986 no profit) e altre sperimentazioni (2.865, 522 for profit e 2.343 no profit), per un totale di 13.300 studi clinici, con una media di 317 studi per azienda nei tre anni: più di 100 all'anno per ognuna delle 41 Aziende Ospedaliere, Aziende Ospedaliero-Universitarie e Istituti di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico (IRCCS) esaminati.
Si tratta di un dato in crescita rispetto agli anni precedenti ma che deve essere analizzato più a fondo, soprattutto perché il 17° Rapporto Nazionale di Farmindustria sulla sperimentazione clinica dei medicinali in Italia mostra, invece, un andamento differente: le sperimentazioni cliniche, in termini assoluti, sono diminuite, scivolando dalle 880 del 2008 alle 564 registrate dall'Osservatorio AIFA nel 2017. A questo punto viene da domandarsi se sia positivo il dato globale sul triennio espresso poco sopra o se, invece, non sia preoccupante quello annuo – come lo è per l’On. Beatrice Lorenzin, che su questo tema ha presentato un'interrogazione parlamentare – riguardante la diminuzione delle sperimentazioni totali.
“Dipende da che lato si affronta la questione”, spiega il prof. Americo Cicchetti, direttore di ALTEMS (Alta Scuola di Economia e Management dei Sistemi Sanitari) nonché professore di Economia presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma. “Gli studi clinici nel complesso possono esser diminuiti, ma sono aumentate le sperimentazioni di Fase I, più complesse e prestigiose. Al sistema sanitario, da un punto di vista economico, convengono le sperimentazioni di Fase III, che includono un maggior numero di pazienti trattabili con farmaci sperimentali ma senza spese. Tuttavia, i trial clinici di Fase I offrono una maggior livello di qualificazione ai centri di sperimentazione, spendibile anche nel momento in cui si giungerà alla Fase III. In un certo senso, quindi, gli studi di Fase I sono un investimento per il sistema, mentre quelli di Fase III rappresentano lo sfruttamento di un investimento realizzato in precedenza”. Stando ai risultati dello studio FIASO, ogni 1.000 euro investiti dall'azienda farmaceutica per la conduzione degli studi clinici presso ospedali, questi ultimi ne hanno risparmiati 2.200 per costi non sostenuti: “l'effetto moltiplicatore – ha spiegato Cicchetti nel corso della presentazione – è pari a 2,2. Per ciascuna delle strutture, si è registrato un risparmio del quinquennio tra i 2 e i 4 milioni di euro”.
Secondi i dati FIASO, le quote relative alle sperimentazioni di Fase I nel quinquennio 2013-2017 sono salite dall'11.7% al 14%, a dimostrazione del fatto che in Italia si sta lavorando molto in prospettiva. Per tale ragione, occorre rivolgere la massima attenzione ai centri di sperimentazione, lavorando su alcuni aspetti nodali: innanzitutto, una saggia e ponderata scelta dei Principal Investigator (PI), considerati dei veri e propri esperti nel loro settore e degli opinion leader affidabili. Direttamente collegata ad essi c’è la selezione dei centri di sperimentazione e delle aree cliniche. Il progetto svolto da FIASO ha dato voce ai ricercatori, chiedendo loro di evidenziare le criticità, ma anche i punti di forza su cui fare leva per migliorare la conduzione di una sperimentazione clinica.
La maggior parte dei PI intervistati lamenta l’assenza di un adeguato supporto sul piano amministrativo e l'esistenza di procedure macchinose per la stipula dei contratti e per il rilascio delle delibere. Non tutti i Comitati Etici hanno tempi di approvazione rapidi, e molti istituti non conferiscono il giusto peso alle figure del Data Manager o dell’infermiere di ricerca, che seguono le fasi tecniche della sperimentazione. D’altro canto, poter disporre di personale competente e motivato, di dotazioni tecnologiche e infrastrutturali all'avanguardia e, soprattutto, di una buona casistica da arruolare, facilita notevolmente l’avanzamento dei lavori e il raggiungimento degli obiettivi.
A ben guardare, dunque, la situazione italiana è soddisfacente se si considera che il totale delle sperimentazioni cliniche autorizzate dall'AIFA nel 2017 rappresenta il 18% del totale di quelle avviate nell'Unione Europea. “Significa che su 100 studi iniziati in tutta Europa, 18 sono stati realizzati in Italia”, spiega Cicchetti. “L’attività intorno alle sperimentazioni è alta se si considera che, del totale europeo, quasi una su cinque si svolge nel nostro Paese. Questa quota è rimasta stabile nel tempo”. I dati, infatti, mostrano che dal 2013 al 2017, la quota di mercato italiana è rimasta pressoché costante rispetto all'Europa (17,2% nel 2013, 18,2% nel 2014, 17,2% nel 2015, 20,3% nel 2016). Le aree di maggiore interesse sono sostanzialmente quella oncologica e quella cardiovascolare che, insieme, rappresentano oltre il 50% di tutte le sperimentazioni”. Risultati buoni e stabili, dunque, ma che migliorando potrebbero aiutare molto i conti del nostro Paese, in modo particolare quelli della Sanità.
“Il quadro è buono ma sicuramente ancora migliorabile”, ha infatti concluso Cicchetti. “Sappiamo dove poter intervenire per migliorare lo scenario e rimanere sempre competitivi e attrattivi. Le regole dell’Unione Europea stanno cambiando e la competizione con gli altri Paesi sta crescendo, ma abbiamo coscienza di come sia necessario agire e possiamo applicare modelli organizzativi nuovi che rinforzino i punti di debolezza, permettendo a clinici e ricercatori di procedere senza intoppi, ottenendo risultati. Il valore degli studi clinici, infatti, risiede non solamente nel prodotto finale, come la terapia innovativa per i malati, ma anche nelle figure che lavorano affinché quel prodotto diventi una realtà. Medici, biologi e infermieri crescono sul piano professionale e migliorano la loro posizione, mentre il sistema sanitario, investendo negli studi clinici, risparmia sui costi di gestione dei pazienti e le aziende aumentano produttività e fatturati. Non si può, quindi, non concludere che il motore della rinascita siano studio e ricerca”.