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Matteo Ardit, ipovedente sin dalla nascita a causa della rara patologia, è cintura nera e affianca i maestri della Nazionale non vedenti

“Ho oltre venticinque anni d’esperienza in questo sport – racconta Matteo- e sono convinto che sia il più adatto a chi ha difficoltà visive perché si è sempre a contatto con l’avversario. È vero che questa disciplina richiede molta precisione, perciò chi non vede o vede poco è svantaggiato, ma il problema si può superare. Quando il mio maestro spiegava una nuova mossa, prendeva sempre me come avversario, così, mentre faceva vedere agli altri, io avevo l’opportunità di sentire direttamente e capire il nuovo esercizio”.

Racconta di essersi avvicinato a questo sport quando frequentava il Configliacchi, l’istituto per non vedenti di Padova, dove ha conosciuto Walter Monti (che è stato allenatore della nazionale italiana di judo per non vedenti e medaglia d’argento alle Paraolimpiadi di Seul del ’92), che era diventato cieco da poco ma non aveva smesso di fare ciò che lo appassionava, il judo appunto.

La retinite pigmentosa, di cui soffre Matteo Ardit, è una distrofia retinica ereditaria, causata dalla perdita dei fotorecettori e caratterizzata da depositi retinici di pigmento visibili all'esame del fondo dell'occhio. La diagnosi clinica si basa sulla presenza di cecità notturna e sui difetti del campo visivo periferico, sulle lesioni nel fondo dell'occhio, sul tracciato elettroretinografico ipovoltato e sul progressivo peggioramento di questi segni.

“Le difficoltà si trovano nello sport come nella vita, - sottoliena Matteo - la cosa importante è avere il coraggio di affrontarle nel modo giusto senza mai mollare. Le prime volte, quando andavo nelle palestre dove non mi conoscevano, la gente mi guardava in modo strano perché si rendeva conto che avevo qualche disabilità. Ci si resta male, ma ho saputo reagire dimostrando che questa è una disciplina che chi ha problemi di vista può praticare senza alcun ostacolo”.

In Italia la Federazione non permette a chi ha problemi di vista di avere il diploma di insegnante perché in teoria non sarebbe in grado di soccorrere le persone se si fanno male. I suoi ragazzi però lo considerano maestro al pari degli altri.

“Partecipare ai trofei è fondamentale per un judoca – ricorda, infine - perché si confronta con tanti avversari. Si riesce a capire in quale situazione fisica ci si trova perché la gara è diversa dall’allenamento che si fa ogni giorno in palestra con i propri compagni. Un tema molto caro a qualsiasi disabile è l’integrazione, per questo da molti anni noi gareggiamo con le persone normodotate”.

Èd è anche per questo motivo che Matteo Ardit e la Nazionale judo non vedenti saranno a Roma, il 21 e il 22 giugno, in occasione del Campionato Italiano non vedenti di judo.

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