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Un nuovo ambito di indagine cerca di far luce sul potenziale ruolo della flora batterica intestinale nello sviluppo di malattie infiammatorie

Comunemente, si conferisce alla parola “batterio” una connotazione negativa, legata ai concetti di infezione, epidemia o più semplicemente di malattia. Tuttavia, esistono anche batteri amici della salute dell’uomo, come quelli che compongono la flora intestinale. Quello che prende il nome di microbiota – l’insieme di tutti i batteri che colonizzano il nostro intestino – non è un vago concetto di biologia, intuitivamente legato alla pubblicità di uno yogurt, bensì l’oggetto di un sempre crescente numero di studi clinici che ne indagano non solo la funzionalità e il ruolo, ma anche l'impatto sulla patogenesi di malattie quali la sclerosi multipla (SM).

Negli ultimi mesi, la letteratura scientifica ha sfornato due interessanti studi sull’argomento: il primo, apparso sulla rivista Science Advances è stato firmato da un gruppo di scienziati del San Raffaele di Milano, mentre il secondo, uscito su Cell Reports, è frutto del lavoro di un team di ricercatori dell’Università dell’Iowa e della Mayo Clinic (Stati Uniti). In entrambi si è fatta luce sulle potenzialità terapeutiche derivanti dall’uso di batteri in malattie infiammatorie come la sclerosi multipla (SM), una malattia infiammatoria demielinizzante nella quale alcuni elementi del sistema immunitario, come i linfociti T helper, prendono di mira le componenti del sistema nervoso centrale distruggendole.

Naturalmente, l’eziopatogenesi della malattia prende le mosse da un meccanismo più complesso ed intricato di questo, ma i risultati delle ricerche sopra citate hanno permesso di spiegare con maggior dettaglio il collegamento tra una malattia autoimmune del sistema nervoso e un batterio presente nell’intestino. All’alterazione del microbiota intestinale, infatti, si attribuisce l’origine di un sempre più crescente numero di patologie infiammatorie, facendo supporre a medici e ricercatori che il ristabilimento dell’equilibrio tra batteri buoni e cattivi possa essere la chiave per trattare svariate condizioni infiammatorie.

Nello studio condotto dai ricercatori americani, si è potuto osservare come la somministrazione per via orale di Prevotella histicola a topi transgenici nei quali era stata indotta l’encefalite allergica, abbia prodotto effetti positivi, riducendo il processo di demielinizzazione all’origine della malattia. L’effetto del batterio si è tradotto in una minore permeabilità della barriera emato-encefalica (BEE) e, soprattutto, in una riduzione della concentrazione di IFN-gamma e IL-17, due citochine ampiamente coinvolte nel processo di infiammazione, la cui capacità di superare la BEE è proprio alla base dello sviluppo dell’encefalite allergica. Parallelamente, l’azione di Prevotella histicola si è esplicata in un aumento sia dei linfociti T CD4+FOXp3+ (essenziali per il mantenimento della tolleranza immunologica), sia delle cellule dendritiche tollerogeniche e dei macrofagi.

Questi risultati combaciano con quelli prodotti dai ricercatori del San Raffaele, che avevano osservato una modifica del microbiota intestinale dei pazienti affetti da sclerosi multipla recidivante-remittente non solo nella fase attiva, ma anche negli stadi precedenti alla riattivazione della malattia. Nello studio italiano si sottolinea come nei tessuti intestinali degli individui malati sia stata rinvenuta una quantità aumentata di linfociti TH17. “Sappiamo già che nella sclerosi multipla queste cellule del sistema immunitario sono le prime a superare la barriera emato-encefalica e a raggiungere il sistema nervoso centrale, contribuendo al danno del rivestimento mielinico”, afferma Marika Falcone, ricercatrice della Divisione di Immunologia, Trapianti e Malattie Infettive del San Raffaele. “Ma non solo: una molecola da loro prodotta, la citochina IL-17, è presente in alte dosi nelle lesioni cerebrali tipiche della malattia”. I ricercatori hanno cercato un possibile collegamento tra questi risultati e un eventuale squilibrio delle popolazioni batteriche che formano la flora intestinale, notando che nei soggetti con malattia in fase recidivante-remittente si presentava una ridotta presenza di Prevotella e, allo stesso tempo, un aumento di Streptococcus oralis e S. mitis, entrambi noti per le loro proprietà infiammatorie. Anche in questo caso, quindi, la riduzione di Prevotella si accompagnava all’aumento di elementi infiammatori deleteri per la salute del paziente.

“Lo studio sulle possibili relazioni tra microbiota e sclerosi multipla, campo nuovo ma in rapida espansione, non è importante solo per la comprensione dei meccanismi patogenetici della malattia, ma potrebbe anche avere un ruolo nel decorso della stessa e nella risposta ai trattamenti”, conclude il dott. Vittorio Martinelli, neurologo del Centro Sclerosi Multipla. La prospettiva offerta da questi due lavori apre alla possibilità d'impiego dei batteri come veri e proprio farmaci per contrastare le malattie infiammatorie autoimmuni.

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