I pazienti trattati con alemtuzumab hanno mostrato il doppio della probabilità di ridurre la loro disabilità rispetto ai pazienti trattati con interferone beta 1-a
Secondo i dati presentati al convegno annuale dell’American Academy of Neurology's, l ’accumulo di disabilità è significativamente rallentato nei pazienti affetti da sclerosi multipla (SM) trattati con alemtuzumab rispetto a quelli trattati con interferone beta-1a (interferone beta 1-a ad alto dosaggio per somministrazione sottocutanea).
Si tratta dei risultati dello studio CARE-MS II, uno studio clinico di fase III randomizzato che compara alemtuzumab e interferone beta 1-a in pazienti affetti da sclerosi multipla recidivante-remittente (RRMS) che hanno manifestato ricadute nel corso di una precedente terapia. In questo studio alemtuzumab (12 mg) è stato somministrato per via indovenosa per un totale di 8 volte durante il periodo dei due anni di durata dello studio. Il primo ciclo di trattamento con alemtuzumab è stato effettuato per 5 giorni consecutivi e il secondo per 3 giorni consecutivi, dopo 12 mesi. Interferone beta-1a è stato somministrato nel dosaggio di 44 mcg per iniezione sottocutanea 3 volte alla settimana, ogni settimana, per i 2 anni previsti dallo studio.
Nello studio, i pazienti con preesistente disabilità trattati con alemtuzumab, rispetto a quelli che avevano ricevuto interferone beta 1-a, hanno mostrato il doppio della probabilità di ridurre la loro disabilità.
La riduzione della disabilità è stata misurata grazie alla Expanded Disability Status Scale (EDSS), uno strumento standard per la valutazione della progressione della disabilità fisica. E’ stato osservato inoltre un significativo miglioramento nell’indice di disabilità in alcuni pazienti trattati con alemtuzumab sia nei riguardi del valore basale, sia rispetto al valore dei pazienti trattati con interferone beta-1a, suggerendo un’inversione della disabilità nei soggetti del gruppo alemtuzumab.
Inoltre Il 65 per dei pazienti trattati con alemtuzumab è rimasto libero da recidive per 2 anni rispetto al 47 per cento dei pazienti con interferone beta-1a (49,4 % di riduzione del rischio; p<0,0001). Nei 2 anni dello studio è stata osservata una riduzione del 49 per cento della frequenza di recidive nei pazienti trattati con alemtuzumab 12 mg rispetto ai pazienti con interferone beta-1a (p<0,0001), risultato statisticamente molto significativo per questo endpoint co-primario.
I più comuni eventi avversi associati ad alemtuzumab nello studio CARE-MS Il, sono risultati le reazioni associate all’infusione che sono state generalmente di gravità lieve o moderata. Le infezioni sono state frequenti in entrambi i gruppi, con un’incidenza più alta nel gruppo alemtuzumab. Le infezioni più comuni hanno coinvolto le vie aeree superiori e il tratto urinario, micosi cutanee ed herpes orali. Nel 3,7 per cento del gruppo alemtuzumab si sono manifestate infezioni gravi rispetto all’1,5 per cento del gruppo interferone beta-1a. Le infezioni sono state, per gravità, prevalentemente lievi e moderate e nessuna fatale.
Nel trial, il 15,9 per cento dei pazienti trattati con alemtuzumab ha sviluppato un evento avverso autoimmune correlato alla tiroide (5 per cento con interferone beta-1a), e lo 0,9% dei pazienti alemtuzumab ha sviluppato una trombocitopenia autoimmune (ITP) nei due anni dello studio. Questi casi sono stati rilevati precocemente attraverso un programma di monitoraggio e trattati con terapie convenzionali. Il monitoraggio del paziente per rilevare casi di ITP e disturbi tiroidei o renali è inserito in tutti gli studi sponsorizzati da Genzyme per il trattamento della MS con alemtuzumab. Tutti i dati sopra riportati si riferiscono ai pazienti dello studio che hanno ricevuto alemtuzumab 12 mg o interferone beta-1a 44 mcg.
Alemtuzumab è un anticorpo monoclonale che interagisce selettivamente con la proteina CD52, abbondante nelle cellule T e B. La terapia con alemtuzumab determina la deplezione delle cellule T e B circolanti che si ritiene siano la causa dei dannosi processi infiammatori che si osservano nella SM. Alemtuzumab ha un impatto minimo sulle altre cellule immunitarie. L’effetto anti-infiammatorio acuto di alemtuzumab è seguito dalla comparsa di un pattern distintivo di ripopolamento delle cellule T e B che si protrae nel tempo. Sebbene l’esatto meccanismo di funzionamento nella SM non sia conosciuto, questo ripopolamento crea un sistema immunitario ri-bilanciato che potenzialmente riduce l’attività della malattia.
“Questi risultati sono rilevanti per la nostra realtà scientifica e per i pazienti grazie al vantaggio in termini di riduzione della disabilità, uno degli aspetti sul quale si concentrano le maggiori aspettative per il futuro. Alemtuzumab, con il suo peculiare meccanismo d’azione, rappresenta un’opportunità in più per i nostri pazienti“ ha commentato il Dr. A. Bertolotto dell’Ospedale S. Luigi di Orbassano (TO) che ha partecipato per l’Italia allo studio.
Genzyme sta sviluppando alemtuzumab per la SM in collaborazione con Bayer HealthCare.