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A sostenerlo tre medici esperti, Giampiero Avruscio, Pietro Maria Beavèra e Pierfrancesco Veroux

“Qualsiasi tentativo di negare l’esistenza della CCSVI è privo di qualsivoglia fondamento scientifico. La CCSVI è fortemente presente nei malati di sclerosi  multipla (SM). L’Ecocolordoppler (ECD), eseguito da mani esperti, è attendibile. I criteri diagnostici stabiliti dal prof. Paolo Zamboni sono corretti. L’angioplastica dilatativa (PTA) in mani sicure è sicura e porta evidenti benefici alla qualità della vita dei malati di sclerosi multipla” . Lo hanno affermato venerdì 7 luglio Giampiero Avruscio (Direttore Medicina Specialistica e Responsabile Servizio e Day Hospital Angiologia – Ospedale S. Antonio – Padova), Pietro Maria Bavèra (Responsabile Servizio di Angiologia e Chirurgia Vascolare -  Fondazione Don Gnocchi Milano) e Pierfrancesco Veroux (Direttore Struttura Complessa Centro Trapianti e Chirurgia Vascolare – Policlinico Vittorio Emanuele – Catania). I tre specialisti  sono intervenuti alla conferenza stampa organizzata dall’Associazione CCSVI nella SM Onlus, presso il CNR a Bologna, allo scopo di fare il punto della ricerca internazionale su CCSVI e SM. La CCSVI, Insufficienza Venosa Cronica Cerebrospinale, scoperta dal prof. Paolo Zamboni dell’Università di Ferrara, in associazione con la SM, è una malattia emodinamica in cui le vene cervicali e toraciche rimuovono poco efficacemente il sangue dal cervello e in generale dal sistema nervoso centrale (SNC). Può essere curata mediante angioplastica dilatativa (PTA).

“Abbiamo voluto fare questo incontro per dare un messaggio di verità ed equilibrio sulla possibile correlazione tra CCSVI e Sclerosi Multipla” ha detto Gisella Pandolfo, presidente dell’associazione. “La verità è che decine di studi scientifici internazionali indipendenti evidenziano che esiste una stretta associazione tra le due patologie. Studi realizzati in tutto il mondo, non collegati tra di loro, che evidenziano come questa realtà riguardi tutte le latitudini, tutti i gruppi genetici. Questo naturalmente non vuol dire che tutto sia stato chiarito, e che non ci sia ancora molto da studiare. Vuol dire che esistono evidenze scientifiche su cui continuare a fare ricerca, nell’interesse dei malati”.

All’incontro sono stati presentati:
1) - una meta-analisi elaborata dalla Società Internazionale Malattie Neurovascolari (ISNVD) - massima autorità internazionale in questa materia - che mediante la flebografia con catetere, considerata il ‘golden standard’ per le diagnosi delle patologie vascolari, dimostra al di là di ogni dubbio, la presenza di CCSVI in pazienti con SM: sia confermando la diagnosi in pazienti preselezionati con metodica ECD (confermando così la correttezza dei criteri standardizzati da Zamboni quando l’indagine è eseguita da mani esperte), sia riscontrando altissima correlazione in pazienti non preselezionati (oltre il  90 per cento).

2) - uno studio in via di pubblicazione su International Angiology – compiuto dal dott. Pietro Bavèra, Responsabile Servizio di Angiologia e Chirurgia Vascolare della Fondazione Don Gnocchi di Milano, che ha preso in esame mediante ECD nell’arco di un anno 823 pazienti SM e 60 persone sane. Risultato: oltre il 90 per cento di CCSVI nei pazienti con sclerosi multipla, mentre solo il 5 per cento (tre persone) tra i sani hanno mostrato all’ECD una lieve anomalia venosa, non diagnosticabile come CCSVI.

Inoltre, è stato ricordato che una conferma della presenza di CCSVI nella SM, di estrema importanza, viene anche dall’anatomia patologica, che è la verità in medicina. Il piccolo ma altamente significativo studio di C. Diaconu, di Cleveland, dell’ottobre 2011, ha dimostrato con metodo raffinato che membrane interne e difetti valvolari, nelle vene giugulari e in altre, sono presenti nel 90 per cento delle persone morte con SM, nel 10 per cento dei controlli non SM.
Dunque, laddove anomalie non vengono viste nei viventi, è assai verosimile che ci si trovi di fronte a un problema di metodo nell’esecuzione della diagnosi. Motivo di più per cercare ancora, studiare ancora per migliorare tale metodo.
Portando la loro vasta esperienza sul campo, i medici intervenuti hanno sottolineato che l’intervento di PTA produce nella maggior parte dei casi un miglioramento della qualità della vita dei pazienti.

I miglioramenti anche immediati di alcuni sintomi nei malati di sclerosi multipla sottoposti ad angioplastica, dimostrano – secondo Veroux – che tali sintomi non sono riferibili a danni strutturali neurologici ma ai problemi emodinamici dati dalla CCSVI.
Cefalea, fatica cronica fisica e mentale, disturbi del sonno e del controllo vescicole, difficoltà nella deglutizione e nel parlare, alterazioni della sensibilità sono i sintomi che più comunemente regrediscono dopo l’angioplastica.
Di fronte alle tante evidenze scientifiche prodotte nel mondo l’associazione CCSVI nella SM ha ribadito la necessità del sostegno alle sperimentazioni interventistiche serie come lo studio ‘Brave Dreams’ (BD) guidato da Zamboni - che valuterà l’efficacia dell’angioplastica dilatativa venosa nei malati di SM – e studi osservazionali controllati.

Un’analoga posizione è stata espressa in Gran Bretagna dal NICE, National Istitute for Health and Clinical Excellence. Questo istituto, analogo al nostro Consiglio Superiore di Sanità (CSS), in sostanza: - incoraggia ulteriori ricerche in questo campo rilevando che i trattamenti attualmente disponibili per la SM sono molto poveri di efficacia;  - sulla base dei dati in letteratura considera i dati di sicurezza disponibili sicuramente significativi e quindi idonei a certificare, per la CCSVI,  la liceità del trattamento di angioplastica dilatativa all’interno di percorsi di ricerca.

“Bene – concludono -  noi questo affermiamo e vogliamo. Con la convinzione che, sempre e comunque, debba nel modo più assoluto prevalere il superiore interesse dei malati e l'inviolabile diritto alla salute del cittadino. Ricordiamo che i malati di SM sono oltre 60mila in Italia, due milioni e mezzo nel mondo. Per la maggior parte giovani adulti, due su tre donne”.

 

Epatite C, la Campania è la regione italiana più colpita

L’Italia è il Paese europeo con il maggior numero di persone positive al virus Hcv, che causa l’epatite c. La Campania è la regione più colpita in assoluto dal virus, circa il 15 per cento del 18 mila casi registrati nel 2008. Si tratta quindi di circa 200 mila persone. A Napoli presso il Grand Hotel Vesuvio, ha fatto tappa qualche giorno fa il progetto “Epatite: Ci confrontiamo”. Iniziativa promossa da Cnr radio con la partecipazione di EpaC Onlus e con il contributo di Roche spa. “I numeri riguardanti le malattie del fegato in Campania mostrano una realtà allarmante – dichiara Antonio Ascione, consulente epatologo del Centro per le malattie del fegato dell’ospedale Buonconsiglio Fatebenefratelli di Napoli. “La nostra regione è al primo posto in Italia per la cirrosi ed ora è prima anche per mortalità del tumore del fegato con tassi di incremento, rispetto all’Italia, del 45 per cento a causa della cirrosi e del 15 per cento per il tumore. In Campania, inoltre, muoiono sette persone al giorno per cirrosi epatica o tumore del fegato, soprattutto nelle classi di età tra i 35 e i 55 anni”.

“La trasmissione del virus avviene esclusivamente attraverso il contatto con sangue infetto” – spiega Giovanni Battista Gaeta, Ordinario di Clinica Malattie Infettive alla Sun. “Poiché non esiste un vaccino, la prevenzione deve basarsi su una chiara informazione sui rischi, in modo da evitare comportamenti errati. Tra primi campanelli d’allarme – avvisa Gaeta – da tenere sotto controllo è il livello delle transaminasi nel sangue: se questo livello è alterato si procede a un’analisi più approfondita per rilevare la presenza del virus. In alcuni casi, tuttavia, i pazienti manifestano transaminasi nella norma, sfuggendo ai controlli di screening”. “Se si interviene con tempestività, quando la malattia epatica non è in fase avanzata, esistono buone possibilità di guarire in maniera completa e definitiva eliminando per sempre il virus C – aggiunge ottimisticamente Nicola Caporaso, ordinario di Gastroenterologia alla Federico II di Napoli. “Riguardo le terapie disponibili, lo standard curativo è basato sulla combinazione di interferone peghilato e rivabirina, che oggi permette di raggiungere una completa guarigione in circa il 50 – 80 per cento dei pazienti a seconda dei genotipi virali, con importanti risvolti sociali e individuali, anche psicologicamente”.

Caporaso ha poi annunciato per il prossimo 22 settembre un incontro pubblico informativo a piazza Dante, per sensibilizzare sull’argomento, dal titolo: “A Napoli Ci vuole più fegato”, cui parteciperanno alcuni dei presenti al meeting del Vesuvio.

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