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I rischi sembrano aumentare in pazienti con peso corporeo basso

La leucoencefalopatia multifocale progressiva (LMP) può rappresentare una grave complicanza del trattamento con l’anticorpo monoclonale natalizumab in pazienti affetti da sclerosi multipla, soprattutto quelli con un peso corporeo basso. Il tema è stato affrontato da un nuovo studio pubblicato su Neurology e presentato all’ultimo congresso dell’American Academy of Neurology (AAN).


Il primo autore dello studio, John Foley, neurologo della Rocky Mountain Multiple Sclerosis Clinic di Salt Lake City, nello Utah, ha spiegato che nell’Unione europea c'è un eccesso di casi di LMP di circa il 54% rispetto ai casi attesi sulla base delle percentuali di utilizzo in tutto il mondo. "Il cosiddetto ‘paradosso  Ue/Usa’ può spiegato almeno in parte dal fatto che i dati demografici dei soggetti in terapia con natalizumab sono molto diversi sia riguardo all‘età sia al peso tra i pazienti dello Utah e controlli svedesi presi come surrogati degli abitanti degli Stati Uniti e di quelli della Ue".

La concentrazione di natalizumab chiaramente aumenta con il tempo, ha detto Foley, e nello studio da lui presentato alte concentrazioni dell’anticorpo sembrano essere presenti soprattutto nei pazienti con peso corporeo inferiore. "Alte saturazioni di natalizumab correlano meglio con popolazioni caratterizzate sia da un basso peso corporeo sia da livelli di farmaco per chilogrammo molto elevati. Una terapia in cui la dose viene ‘spalmata’ su un periodo più lungo potrebbe diminuire la concentrazione e la saturazione dell’anticorpo e potrebbe essere una valida opzione per la riduzione del rischio di LMP”.

Come riportato da Pharmastar, Natalizumab è un trattamento molto efficace per la SM, ma il rischio di LMP è un aspetto importante di cui tenere conto. I fattori già identificati come predittivi di una suscettibilità a questa complicanza sono la durata della terapia e la positività agli anticorpi contro il virus JC al momento di iniziare la cura.

Il ‘paradosso Eu/Usa’ è già stato descritto. Se i casi fossero distribuiti equamente in queste due regioni sulla base dell’utilizzo del farmaco, ha spiegato l’autore, i casi di LMP in Europa dovrebbero essere circa 125, e non i 193 segnalati, un eccesso del 54% rispetto ai numeri attesi. Gran parte di questa eccedenza è stata attribuita in passato a un maggiore impiego degli immunosoppressori nel Vecchio continente.
Nello studio presentato all’AAN, Foley ha esaminato gli effetti farmacocinetici e farmacodinamici che si ottengono prolungando l'intervallo tra le somministrazioni di natalizumab come una possibile strategia di riduzione del rischio di LMP.

L’autore e i suoi collaboratori hanno raccolto i dati demografici e clinici di una coorte di 301 pazienti con SM in terapia con natalizumab presso il loro centro e hanno confrontato i dati con un gruppo di pazienti analoghi in tutto il mondo, tra cui un gruppo di 38 pazienti con LMP.

Analizzando le concentrazioni di farmaco, i risultati hanno mostrato una stretta correlazione tra la saturazione del farmaco nei linfociti VLA-4 e la concentrazione per chilogrammo di peso corporeo, con risultati variabili dall’85% come saturazione media al 95% riscontrato nei pazienti con peso più basso. "Questa relazione con il peso è stata riconosciuta già nelle prime fasi dell’esperienza con natalizumab e attualmente nel foglietto illustrativo è segnalato che si è osservata una maggiore clearance del farmaco nei pazienti con peso corporeo più alto”.

I ricercatori hanno poi stratificato la saturazione sia in base al peso sia in base alla concentrazione e hanno scoperto che la maggior parte dei pazienti con saturazioni tra il 90 e il 95% erano nella categoria di peso più basso, ma anche nella categoria con la concentrazione più elevata.

Sulla base di questi risultati, ha detto Foley, "abbiamo ipotizzato che se nelle popolazioni caratterizzate in media da un basso peso corporeo si ha un aumento delle concentrazioni e delle saturazioni, e ciò predispone a un maggior rischio di LMP, allora si dovrebbero avere più casi di LMP nei pazienti con peso corporeo inferiore".

Grazie alla collaborazione con diversi altri centri, gli autori americani sono riusciti a raccogliere dati su 38 pazienti con LMP (quasi il 12% dei casi segnalati associati al trattamento con natalizumab) per confrontare la distribuzione del peso tra la popolazione europea e quella americana. In questa coorte, la mediana del peso era di 64 kg, con una media di 70 kg in tutti i pazienti, e non si sono viste differenze significative tra le popolazioni europee e statunitensi nella distribuzione del peso tra i casi di LMP.

Tuttavia, presso il loro centro, ha osservato Fooley, "la mediana del peso era di 78 kg, 14 kg in più rispetto al caso medio con LMP.  E in linea con la teoria, nella coorte svedese, utilizzata come surrogato per la popolazione dell'Unione europea, il valore corrispondente è risultato di 69 kg, molto più vicino a quello della coorte con LMP".

"L'altra questione è cosa succede se si spalma la somministrazione, passando dal regime standard di 28-30 giorni a uno di 6 settimane” ha proseguito Foley, il quale ha aggiunto che nel suo ospedale finora i pazienti trattati con il regime più lungo non sono stati molti, ma in questi piccolo gruppo si è già vista una significativa riduzione della concentrazione media e un calo della saturazione di circa il 6,5%.

Lily Jung Henson, direttore medico dello Swedish Neuroscience Institute di Seattle, ha commentato lo studio definendo molto interessante questa possibile relazione tra peso più basso e rischio più alto di LMP. “Solo il tempo ci dirà se è reale” ha detto l’esperta, la quale in ogni caso si è chiesta se ‘venga prima l’uovo o la gallina’.

 

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