Uno studio italiano chiarisce l’importanza dello ‘share decision making’. I pazienti ancora troppo poco coinvolti
La collaborazione tra medico e paziente per la riuscita di un percorso terapeutico è un concetto che si è diffuso piuttosto tardi, ma che finalmente trova un suo riscontro anche nella comunità scientifica. Il processo decisionale condiviso (il cosiddetto sharing decision making) e la partecipazione attiva del paziente sono ancora più importanti quando si parla di malattie croniche invalidanti come la sclerosi multipla.
A tal proposito è stato recentemente pubblicato, su Plos One, un nuovo studio che valuta la qualità della relazione medico-paziente nei casi di persone affette da Sclerosi Multipla.
Lo studio, che ha visto coinvolti alcuni studiosi Italiani dell'Università D'Annunzio di Chieti-Pescara con la collaborazione di membri della Fondazione IRCCS Istituto Neurologico C. Besta di Milano e delle Università di Verona, Bari e Sassari, fa parte del progetto internazionale AutoMS (coordinato dalla Dott. Alessandra Solari della Fondazione IRCCS Istituto Neurologico C. Besta e dal Prof. Christoph Heesen dell’Università di Amburgo) e mira a giudicare il livello di coinvolgimento dei pazienti nel processo decisionale del loro percorso terapeutico.
I dati sono stati raccolti in cinque Centri SM Italiani, registrando l'audio del primo incontro tra il medico ed il malato. Sono stati coinvolti 10 medici ed 88 pazienti (il 72% dei quali aveva già ricevuto una diagnosi di Sclerosi multipla ed il 28% una diagnosi di possibile SM o altra patologia). Le registrazioni sono poi state sottoposte al giudizio di tre osservatori esterni e dei pazienti stessi. Quest'ultimi hanno valutato i dati in base alla scala PICS (Perceived Involvement in Care Scale), mentre gli osservatori hanno utilizzato la scala OPTION (Observing Patient Involvement in Shared Decision Making).
I risultati hanno mostrato che attualmente i medici sono efficienti nel “richiamare l'attenzione in merito al problema clinico specifico” e nell' “evidenziare la necessità di prendere una decisione”, ma peccano nel coinvolgimento della persona affetta da SM. Sia secondo il parere dei pazienti che secondo quelle degli osservatori, infatti, i medici hanno ottenuto valutazioni scarse nell'interrogare il malato riguardo alla “modalità in cui preferisce ricevere informazioni” e nel “coinvolgimento del paziente nelle decisioni”.
Lo studio suggerisce quindi che le competenze del medico non si devono limitare all'ambito tecnico, ma devono “sconfinare” in un ambito più relazionale ed empatico, per far sì che si crei un'unione di intenti con il paziente e vi possa essere una proficua collaborazione (SDM).