La molecola ha probabilmente un ruolo più importante di quello attribuito fino ad oggi, da questa conoscenza potrebbero prendere il via nuove strade per le terapie
Si chiama indolamina 2,3-diossigenasi, è un enzima il cui nome viene comunemente abbreviato con IDO e fino ad oggi si riteneva avesse un ruolo importante nel fare da “vigile” del sistema immunitario degradando l’amino acido triptofano (fondamentale per la moltiplicazione dei globuli bianchi) e producendo molecole di scarto (le chinurenine) capaci di interrompere molteplici funzioni di difesa. Si tratta di un meccanismo particolarmente importante nel caso di infiammazioni e in gravidanza, quando il sistema immunitario della madre si trova a dover “tollerare” un organismo estraneo come il feto. Tuttavia, secondo uno studio appena pubblicato sulla prestigiosa rivista scientifica Nature dai dei professori Ursula Grohmann, Paolo Puccetti e Francesca Fallarino e della giovane ricercatrice Maria Teresa Pallotta del Dipartimento di Medicina Sperimentale e Scienze Biochimiche dell’Università di Perugia questo enzima potrebbe avere un ruolo ben più importante nel controllo del sistema immunitario. Il gruppo ha infatti condotto una ricerca di base che contribuisce a chiarire il meccanismo biologico attraverso il quale questa molecola agisce, una scoperta che permette di comprendere meglio anche quello che accade in molte patologie autoimmuni, come la sclerosi multipla o anche il diabete giovanile e che potrebbe aprire la strada a nuove direzioni di ricerca per le terapie.
È l’ottava volta che il gruppo di scienziati perugini vede pubblicato un proprio lavoro in una rivista della serie Nature, tra le più prestigiose a livello internazionale in ambito immunologico/terapeutico.
Partendo dai ruoli dell’enzima già noti i ricercatori hanno evidenziato come mentre si riusciva a spiegare l’effetto di spegnimento immediato di una risposta immunitaria acuta, come nel caso di un’infiammazione, non si dava invece ragione della “tolleranza” a lungo termine nei confronti dell’embrione/feto da parte della madre per nove mesi oppure verso i propri tessuti per tutta la vita. Il lavoro evidenzia dunque IDO non sia solo un diretto “esecutore” del controllo del sistema immunitario, ma che sia capace anche di coinvolgere altre molecole “riprogrammando” così a lungo termine la cellula dendritica, regista delle difese immunitarie. Quindi il controllo di IDO diventa determinante per riuscire a rimodulare l’organismo immunitario e le sue risposte.