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La distrofia muscolare di Duchenne e Becker (DMD e BMD) è una malattia rara, ovvero rientra in quelle patologie genetiche con una prevalenza che non supera lo 0,05 per cento della popolazione (ossia 5 casi su 10.000 persone), e che sono per la maggior parte incurabili. La DMD riguarda prevalentemente i maschi, con un’incidenza di circa un paziente maschio su 5000 nati vivi, ed è solitamente asintomatica nelle femmine (con qualche rara eccezione), che vengono definite “portatrici sane”. In Italia non esistono dati ufficiali sul numero delle persone affette dalla distrofia muscolare di Duchenne e Becker. Fino a qualche anno fa si stimava che nel nostro paese ci fossero circa 5.000 malati, ad oggi la stima è notevolmente diminuita e si fa riferimento a circa 1500 malati, con una netta maggioranza di pazienti Duchenne rispetto ai pazienti Becker. La stima mondiale di pazienti affetti da DMD e BMD è molto approssimativa, ma una serie di dati aggiornati indica che, a livello globale, vi siano circa 300.000 persone malate.

Tutta colpa di un gene
La distrofia di Duchenne fu descritta per la prima volta nel 1868 dal neurologo francese Guillaume Duchenne de Boulogne, e le sue basi genetiche sono state identificate nel 1986 riconducendole a mutazioni nel gene della distrofina. Questo gene, il più grande conosciuto nel nostro DNA, è collocato sul cromosoma X e questo spiega la trasmissione legata al sesso. La distrofia di Duchenne è una malattia che nei maschi (che possiedono un cromosoma X ed uno Y) si manifesta pienamente, mentre nelle femmine (che possiedono 2 cromosomi X) la sintomatologia è molto ridotta per via di una compensazione con la presenza di una forma normale del gene sul secondo cromosoma X. Le donne vengono definite come “portatrici sane”, ovvero non sviluppano la patologia, anche se esistono rari casi in cui le donne con la mutazione hanno una riduzione della forza muscolare generica e vanno incontro a problemi cardiaci in età adulta.

Le distrofie muscolari di Duchenne e Becker (BMD) rientrano nella categoria delle distrofinopatie, ovvero quelle malattie muscolari causate da un difetto della distrofina. Questa proteina si trova ancorata sulla faccia interna della membrana delle fibre muscolari, tramite un complesso di molte altre proteine, e funge da collegamento strutturale tra la membrana e i filamenti contrattili delle fibre. La distrofina ha un ruolo determinante per la stabilità meccanica della membrana durante la contrazione muscolare. L’assenza, o il malfunzionamento, della distrofina va ad intaccare l’integrità della membrana: si creano dei “buchi” che rendono la struttura instabile e permeabile a sostanze che normalmente non possono entrare nella cellula muscolare. A livello cellulare, si crea un flusso anomalo costituito da sostanze fondamentali per la funzionalità del muscolo che escono e sostanze dannose, come il calcio, che entrano.

Questa situazione porta velocemente ad un’esplosione e morte delle cellule muscolari, un processo che oltre alla distruzione delle fibre muscolari causa una fuoriuscita del contenuto cellulare che viene riconosciuto e attaccato come corpo estraneo dal sistema immunitario. L’attacco effettuato dalle “cellule sentinella” è molto efficiente, sin troppo, provvede infatti alla "ripulitura" di una zona del muscolo che risulta essere più larga del necessario. Il sistema immunitario provoca così un danno ancor più grave di quello iniziale. Gli spazi vuoti che si vengono a creare sono poi riempiti da tessuto connettivo a formare una sorta di cicatrice che impedisce a sua volta la funzionalità muscolare. Nei pazienti colpiti da DMD e BMD, questo tipo di processo di danneggiamento muscolare che si autoalimenta si ripete in maniera costante finché non si arriva alla morte della totalità delle cellule muscolari.

Ciò che differenzia la distrofia muscolare di Duchenne da quella di Becker è la quantità di distrofina funzionale prodotta nelle cellule muscolari:
un’assenza completa della proteina determina la forma di Duchenne, mentre un’alterazione quantitativa o qualitativa di minore entità conduce alla distrofia di Becker. La BMD è una forma più lieve caratterizzata da un esordio tardivo e da un decorso meno definito. Un’ulteriore differenza tra la DMD e la BMD si riscontra nell’incidenza, la BMD ha un’incidenza nettamente minore, inferiore a 1 caso su 18.000, circa quattro volte meno della DMD.

Ereditarietà
Le distrofie muscolari di Duchenne e Becker sono malattie genetiche, ma non sempre con origine ereditaria. Se in una famiglia si sono già verificati casi di DMD o BMD, grazie alla consulenza genetica è possibile conoscere con precisione il rischio di trasmettere ai propri figli queste patologie. Ad esempio nel caso più comune, con un padre sano ed una madre portatrice, la probabilità di avere un figlio ammalato è del 25%. Se si tratta di un maschio ci saranno infatti il 50% di possibilità che risulti ammalato, mentre se si tratta di una femmina il 50% di possibilità che risulti portatrice sana. Tuttavia, circa un terzo dei casi DMD/BMD nasce da madri che non sono portatrici. In questo caso, la malattia è dovuta a una nuova mutazione del gene per la distrofina, un errore accidentale che non è trasmesso dai genitori.
Nel caso in cui la DMD/BMD sia presente in famiglia è importante ricorrere ad una consulenza genetica e alla diagnosi prenatale. Questa è possibile a partire dalla decima settimana di gravidanza mediante villocentesi o successivamente con amniocentesi.

La diagnosi
Non si sa con certezza quando inizia clinicamente la malattia. Durante i primi anni di vita, l'iter diagnostico è spesso avviato in seguito a un riscontro, da parte dei genitori o del pediatra, di alcuni sintomi che si presentano come campanello di allarme. Altre volte invece l’avvio dell’iter diagnostico è scaturito dal casuale riscontro, a seguito di un prelievo di sangue, di un incremento di creatinfosfochinasi (CPK) e di transaminasi (AST e ALT) nel sangue del bambino. Un incremento di CPK e transaminasi nel sangue è un dato indicativo per un danno muscolare e per una possibile malattia neuromuscolare ma non è assolutamente specifico. Infatti può anche essere l’indicatore di un semplice affaticamento muscolare o di altre patologie quali epatiti, malattie infettive, malfunzionamento della tiroide e altro ancora.

La diagnosi di DMD/BMD può essere accertata solo da biopsia muscolare e da diagnosi molecolare.
La biopsia muscolare è un’analisi invasiva che viene effettuata prelevando un pezzettino di tessuto muscolare dal paziente, solitamente dal quadricipite, e serve ad osservare l’eventuale presenza di fibre muscolari degenerate e quantificare la distrofina presente nel muscolo. Da quest’analisi è già possibile definire se si tratta di DMD (la forma più grave) o BMD (la forma più lieve).
La diagnosi molecolare è invece un’analisi non invasiva ed è condotta con un semplice prelievo di sangue. Quest’ultima permette di stabilire con esattezza le eventuali mutazioni a carico del gene per la distrofina. Fino a qualche anno era difficile riuscire ad avere una diagnosi molecolare accurata e ciò richiedeva spesso tempi molto lunghi. Per fortuna negli ultimi anni sono state sviluppate metodologie sempre più accurate per la diagnosi molecolare, che sono di largo impiego anche in Italia, e ora si ricorre sempre più spesso direttamente all’analisi molecolare evitando l’invasività di una biopsia muscolare.

I dati acquisiti nel mondo sulle diagnosi molecolari hanno rivelato la frequenza delle principali mutazioni che causano la distrofia di Duchenne. In circa il 65% dei casi, la DMD è causata da ampie delezioni del gene della distrofina (ovvero perdita di parti intere del gene), nel 10% da duplicazioni (ripetizioni di parti del gene), nel 24% da piccole mutazioni puntiformi, basate sulla sostituzione di alcune lettere del codice genetico con altre, e nell'1% da mutazioni atipiche.

Alla ricerca di una cura
Per curare la DMD si deve in qualche modo bloccare o almeno diminuire la degenerazione muscolare in corso. Al momento l’unica terapia universalmente utilizzata si basa sui farmaci corticosteroidi (cortisone) che agiscono prevalentemente intervenendo sui processi antiinfiammatori e riducendo le reazioni immunitarie coinvolte nella progressione della malattia. L’esperienza suggerisce che si riesce a vedere un buon miglioramento della performance fisica del paziente se il trattamento farmacologico viene iniziato al momento, o prima, che il bambino raggiunga il plateau delle sue capacità fisiche, una condizione che si raggiunge tipicamente verso i 4-6 anni. Nonostante l’aiuto fornito dai corticosteroidi, questi non rappresentano una terapia in grado di risolvere la malattia piuttosto un trattamento palliativo che rallenta, in maniera provvisoria, la degenerazione muscolare. Inoltre, i pazienti che prendono corticosteroidi devono fare i conti con tutta una serie di gravi effetti collaterali quali cambiamenti comportamentali, riduzione della crescita, aumento eccessivo di peso, osteoporosi, intolleranza al glucosio, cataratta, ecc. 

Una cura vera e propria, quella che arresta la malattia in tutti i pazienti Duchenne e Becker, deve ancora arrivare. Attualmente è in atto una collaborazione a livello mondiale, tra ricercatori, clinici, aziende farmaceutiche, biotech e pazienti, per attaccare la patologia su diversi fronti, ovvero sviluppando approcci terapeutici diversi con bersagli diversi che vadano tutti a confluire sullo stesso obiettivo: il muscolo scheletrico, la sua forza e la rigenerazione cellulare. Nell’ultimo decennio c’è stata una crescita esponenziale della ricerca traslazionale nel campo della DMD e BMD: sono oltre cinquanta i progetti di ricerca focalizzati su nuove terapie sperimentali che, nel mondo, sono passati dagli studi preclinici a quelli clinici, e circa un terzo dei trial clinici sono in corso anche in Italia. Alcuni studi si trovano nelle prime fasi di sperimentazione, altri nelle fasi finali e più promettenti, e altri ancora addirittura in fase di post-autorizzazione all’immissione in commercio. Vi sono strategie più innovative o “personalizzate” che mirano a fornire ai pazienti la distrofina o a correggere le mutazioni genetiche (come la terapia genica, la terapia cellulare, l’editing genomico, l’exon skipping o piccole molecole che permettono di mascherare le mutazioni), ma anche strategie più universali basate su farmaci più “classici”, che puntano a combattere la debolezza muscolare, l’infiammazione, la fibrosi e la degenerazione del tessuto muscolare, compresi i muscoli respiratori e il cuore, che caratterizzano la DMD e la BMD.

Terapia genica
Questo approccio mira ad agire direttamente sul danno genetico e, più in particolare, a ripristinare la produzione della distrofina veicolando il gene sano direttamente all’interno del tessuto muscolare. Purtroppo, le grandi dimensioni del gene della distrofina, che è il più grande che abbiamo nel nostro DNA, hanno reso l’impresa molto ardua poiché i virus utilizzati in terapia genica per trasferire i geni nelle cellule hanno una capienza piuttosto limitata. Grazie ad una serie di progressi scientifici e tecnologici acquisisti in questi ultimi anni, diversi gruppi di ricerca sono riusciti a mettere a punto una strategia di terapia genica in vivo basata sull’utilizzo di forme di dimensioni ridotte, ma funzionali, del gene della distrofina. Queste possono essere ospitate all’interno di vettori virali di tipo adeno-associati (AAV) ed essere veicolate direttamente all’interno del tessuto muscolare.
Tra la fine del 2017 e l’inizio del 2018 sono stati avviati negli Stati Uniti tre diversi studi clinici, con tre diversi costrutti della forma accorciata della distrofina (le cosiddette mini-distrofina e micro-distrofina), per valutare questa strategia in bambini e ragazzi affetti da DMD.

Terapia cellulare
Come nel caso della terapia genica, il presupposto di partenza è di ripristinare la produzione della distrofina. In questo caso, però, fornendo all’organismo cellule staminali in grado di colonizzare il tessuto muscolare con cellule muscolari sane che hanno la capacità di produrre la distrofina mancante. Nel 2011 è stato avviato, in Italia, lo studio clinico diretto da Giulio Cossu: il primo tentativo al mondo di trapianto eterologo di cellule staminali su pazienti DMD (le staminali vengono prelevate da un donatore sano immunocompatibile e infuse nel paziente). La ricerca è basata sull’utilizzo dei mesoangioblasti, particolari cellule staminali normalmente associate ai vasi sanguigni che sono capaci di rigenerare il tessuto muscolare danneggiato e ripristinare la sua funzionalità. Lo studio clinico, di Fase I/II, è stato condotto su 5 bambini Duchenne e, sebbene siano stati buoni i risultati sulla sicurezza, non è stata dimostrata l’efficacia del trattamento. Lo sviluppo clinico di questa specifica strategia è stato interrotto ma, in questi ultimi anni, i ricercatori stanno lavorando assiduamente per mettere a punto nuovi strumenti e protocolli per poter riavviare questo filone di sperimentazione. 

Editing genomico
Il sistema CRISPR è un’innovativa tecnica di ingegneria genetica che permette di effettuare correzioni e modifiche direttamente sul DNA in maniera estremamente precisa, versatile, rapida e definitiva. I primi studi di editing genomico con CRISPR per la Duchenne risalgono al 2014. I diversi studi preclinici effettuati fino ad oggi sono stati condotti su modelli animali di distrofia muscolare o su cellule prelevate da pazienti DMD, e sono stati effettuati rimuovendo alcune mutazioni presenti nel gene della distrofina mediante l’eliminazione di uno o più esoni (porzioni codificanti di un gene). I risultati ottenuti sono assolutamente positivi e molto incoraggianti. Va però sottolineato che si tratta di studi preclinici, e che vi sono ancora una serie di aspetti tecnici da mettere a punto e di sfide da affrontare prima che si possa approdare alla sperimentazione clinica nei pazienti Duchenne.

Exon skipping
Quando una mutazione cambia lo schema di lettura del gene della distrofina non vi è più la produzione di una proteina funzionale, e ciò causa l’insorgenza della DMD. La strategia dell’exon skipping, tradotta letteralmente come “salto dell’esone”, utilizza piccole molecole antisenso per ristabilire il corretto schema di lettura eliminando un esone corrispondente alla regione in cui è presente la mutazione. Alla fine di questa “operazione molecolare”, la distrofina prodotta sarà più corta del normale ma pur sempre dotata della sua funzione muscolare. Il primo studio clinico sull’exon skipping è stato avviato nel 2006 e, attualmente, sono diverse le molecole in sviluppo clinico nel mondo.
Nel 2016, la FDA ha approvato, negli Stati Uniti, il trattamento con eteplirsen nei pazienti Duchenne che hanno mutazioni nel gene della distrofina trattabili con il salto dell’esone 51, mutazioni che colpiscono circa il 13% della popolazione DMD. Questa molecola non è stata ancora approvata dall’Agenzia Europea per i Medicinali (EMA). È importante sottolineare che la terapia basata sull’exon skipping non può essere considerata una cura vera e propria ma, piuttosto, un modo per ridurre la gravità della distrofia.

Terapia per le mutazioni nonsenso
Attualmente, l’unica molecola ad aver ricevuto l’approvazione in Europa è ataluren, una piccola molecola per uso orale che interviene sui meccanismi molecolari coinvolti nella lettura dei geni e nella loro traduzione in proteine. Agisce esclusivamente sulle mutazioni “nonsenso”, che causano l’interruzione anticipata della lettura del gene e, quindi, la mancata produzione di distrofina funzionale. Le mutazioni “nonsenso” si trovano nel 10% della popolazione DMD. Il primo studio clinico con ataluren è stato avviato nel 2008 e nel 2014 la Commissione Europea (CE) ha concesso l’approvazione condizionale della molecola per il trattamento di bambini e ragazzi Duchenne dai 5 anni in su, deambulanti e con mutazione nonsenso. A seguire, l’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) ha dato il parere favorevole alla richiesta di inserire ataluren nell'elenco dei farmaci erogabili a totale carico del Servizio Sanitario Nazionale, ai sensi della Legge 648/96, consentendo ai pazienti Duchenne italiani, rispondenti ai criteri sopra indicati, di avere accesso al farmaco. Infine, ad agosto 2018, sulla base dei risultati di ulteriori studi clinici la, CE ha esteso l'impiego di ataluren per il trattamento di pazienti dai 2 anni in su. Negli Stati Uniti, la FDA non ha ancora approvato la molecola.

Terapia farmacologica
Questo filone di ricerca raggruppa tutta una serie di approcci diversi che hanno come obiettivo finale lo sviluppo di nuove molecole che possano contrastare i processi infiammatori, fibrotici e degenerativi tipici della Duchenne. Questi nuovi farmaci sono ideati per sostituire, o limitare, l’impiego dei corticosteroidi (unica terapia, ad oggi, universalmente utilizzata per la Duchenne) la cui assunzione determina effetti collaterali spesso importanti. Le strategie terapeutiche farmacologiche includono molecole che agiscono per limitare la fragilità delle cellule muscolari, aumentare la massa muscolare, ottimizzare il metabolismo dei muscoli e contrastare il processo infiammatorio e fibrotico. Alcune di queste, inoltre, sono ideate per puntare direttamente alla funzionalità respiratoria e cardiaca.
In questo ambito, lo sviluppo di givinostat - un inibitore delle istone deacetilasi (HDAC) che permette al tessuto muscolare di rispondere al danno provocato dalla Duchenne con un meccanismo rigenerativo in grado di ridurre il processo d’infiammazione e di fibrosi della patologia – rappresenta un esempio di ricerca traslazionale “made in Italy”. Givinostat è una molecola ad uso orale sviluppata dall’azienda farmaceutica Italfarmaco e l’idea di puntare su un inibitore delle istone deacetilasi per la Duchenne nasce nei laboratori del ricercatore italiano Pier Lorenzo Puri. Attualmente, è in corso uno studio clinico internazionale di Fase III su pazienti DMD e, in Italia, uno studio clinico di Fase II su pazienti con distrofia muscolare di Becker (BMD).

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