E’ la prima da quando, 150 anni fa, si diede nome alla malattia

In Italia il farmaco è disponibile grazie alla legge 648/96 e si attende la piena commercializzazione

Ataluren ripristina la proteina mancante nei casi dovuti a mutazione nonsenso (nmDMD) e aiuta i ragazzi a mantenere più a lungo la deambulazione.

ROMA - La distrofia di Duchenne fu descritta per la prima volta 150 anni fa dal neurologo francese Guillaume Duchenne de Boulogne. Si trattava, naturalmente, solo di una descrizione clinica: era ancora lontana la possibilità di fare una diagnosi molecolare. Col passare del tempo è stato poi possibile identificare le diverse mutazioni genetiche alla base di questa malattia rara, che progressivamente colpisce tutta la muscolatura portando i ragazzi prima sulla sedia a rotelle – intorno ai 9/12 anni, poi a perdere anche l’uso delle braccia, verso i 20 anni, e ad aver bisogno di aiuto nella respirazione. Molto di meno è stato possibile sul fronte delle terapie.

L’approccio terapeutico è legato all’uso di corticosteroidi (cortisone) – con i suoi notevoli effetti collaterali - e su una presa in carico multidisciplinare che comprende la fisioterapia, la chirurgia ortopedica, la prevenzione cardiologia e, soprattutto l’assistenza respiratoria. Un approccio che certo ha dato i suoi frutti, portando la sopravvivenza dalla prima adolescenza fino all’età adulta, ma che non rappresenta un punto di arrivo: una cura vera e propria, quella che arresta la malattia, deve ancora arrivare ed è nei laboratori e nelle strutture sanitarie di tutto il mondo che biologi e medici stanno moltiplicando i propri sforzi.

I ricercatori, tra cui si distinguono alcuni italiani, stanno mettendo a punto diversi approcci, tra cui terapie geniche mirate, l’utilizzo di cellule staminali, fino allo sviluppo di moderni farmaci biotech. Il concetto è che se non si riesce a trovare “la cura” si studiano terapie diverse che agiscano ad hoc sul tipo specifico di danno genetico, puntare quindi alle “terapie personalizzate”.  Ora, dopo 150 anni di osservazione e ricerca, il primo farmaco studiato e approvato per i pazienti Duchenne, e in maniera specifica per i portatori di una  mutazione nonsenso, che rappresentano il 13% circa dei pazienti, è arrivato: si chiama  Traslarna (ataluren) ed è stato messo a punto da PTC Therapeutic che ha ricevuto sia la designazione di farmaco orfano che, nel luglio 2014, l’autorizzazione all’immissione in commercio in Europa per l’uso nei pazienti DMD deambulanti, con mutazione nonsenso, dai cinque anni in su, dopo la presentazione dei risultati positivi di studi clinici cominciati nel 2008 e che proseguono tutt’oggi per portare nuove conferme. Recente è infatti la pubblicazione di un ulteriore studio di fare III su 228 ragazzi che ha confermato i benefici degli studi registrativi: è stato il più grande studio in doppio cieco, controllato con placebo, mai condotto in pazienti con Duchenne. Il punto più interessante è certamente che nessun paziente che all’inizio era ancora in grado di percorrere 300 -400 metri nel test dei sei minuti di cammino ha perso la deambulazione. Ad oggi più di 500 pazienti hanno ricevuto ataluren, la più grande popolazione mai trattata con un agente in grado di modificare il decorso della malattia per la DMD. Non è la vittoria sulla malattia, ma è il primo grande punto di svolta relativo alle terapie in 150 anni.

“I risultati più evidenti sono arrivati  soprattutto dal gruppo di pazienti che erano ancora in grado di percorrere  tra i 300 e i 400 metri, secondo le misurazioni del 6MWT – spiega infatti il Prof. Eugenio Mercuri, ordinario di neuropsichiatria infantile all’Università Cattolica del Sacro Cuore e direttore dell'Unità Operativa Neuropsichiatria infantile, Policlinico Agostino Gemelli, che ha seguito in prima linea la sperimentazione del farmaco in Italia -  In questo gruppo, che di fatto identifica i pazienti che già manifestano segni di debolezza e di declino della forza, la terapia ha portato a un guadagno estremamente rilevante: 47 metri percorsi in più rispetto al gruppo di controllo che non assumeva il farmaco. Questi risultati corrispondono anche a un miglioramento delle attività quotidiane dei pazienti e questo è un dato molto importante. Ora vogliamo valutare gli effetti della terapia a lungo termine e i pazienti sono entusiasti della possibilità degli studi di estensione”.    

A un soggetto sano poter percorrere poco meno di 50 metri in più potrà sembrare una cosa da nulla, eppure per un bambino o un adolescente con Duchenne questo vuol dire molto, vuol dire non essere costretto a compiere ogni azione su quella sedia a rotelle dalla quale non si separerà più, vuol dire poter ancora stare in piedi mentre la sua colonna vertebrale sta ancora crescendo, evitando alcuni gravi danni che si verificano invece se la perdita dell’uso delle gambe avviene precocemente.     

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