Trombocitemia essenziale, policitemia vera e mielofibrosi idiopatica
La ricerca sulle malattie mieloproliferative croniche PH negative (trombocitemia essenziale, policitemia vera e mielofibrosi idiopatica), a lungo trattate come le cenerentole dell’oncoematologia, ha segnato una svolta decisiva nel 2005, con l’identificazione della mutazione JAK2, presente in un’alta percentuale di pazienti affetti da policitemia vera (PV) e mielofibrosi (MF). A distanza di otto anni è finalmente disponibile un farmaco inibitore di JAK2, ruxolitinib (Jakavi), che interviene in maniera sensibile sulla qualità della vita dei pazienti con mielofibrosi (MF), la più severa delle tre malattie, mentre altri inibitori hanno superato le prime fasi di sperimentazione.
Inoltre è stato identificato un nuovo marcatore della malattia, la calreticulina, ed altri bersagli terapeutici sono allo studio.
Al rientro dal 56° meeting annuale dell’Associazione americana di ematologia (ASH), tenutosi a San Francisco dal 6 al 9 dicembre, abbiamo chiesto al Dr. Vittorio Rosti, responsabile del Centro per lo studio e la cura della mielofibrosi del policlinico San Matteo di Pavia, a che punto sono gli studi internazionali su questo gruppo di neoplasie rare.
Nessun nuovo farmaco rivoluzionario nella cura delle malattie mieloproliferative croniche PH - ma molti incoraggianti progressi negli studi su farmaci o combinazioni di farmaci già in sperimentazione. Questo è quanto sembra essere emerso dall’ultimo ASH, tenutosi nei giorni scorsi a San Francisco.
Iniziamo allora da Jakavi. Quali nuove prospettive nella sua utilizzazione?
La prospettiva principale emersa durante l'ASH per l'utilizzo di Jakavi, a parte l'indicazione all'uso del farmaco anche per la policitemia vera oltre che per la mielofibrosi, è quella del suo impiego in associazione con altri farmaci, in grado di agire su vie metaboliche diverse da quella JAK/STAT su cui agisce il ruxolitinib. L'uso in combinazione ha diverse motivazioni: potrebbe permettere di usare dosaggi più bassi di farmaco, limitando così gli eventuali effetti tossici dello stesso, e potrebbe essere efficace in alcuni pazienti in cui il ruxolitinib da solo non lo era stato. L'accesso all'uso in combinazione è al momento limitato ai trial clinici, alcuni disponibili anche in Italia, e quindi regolato dai criteri di inclusione/esclusione dei singoli trial.
Sono stati presentati studi da cui emergono anche effetti del ruxolitinib sulla progressione della malattia?
Vi sono state segnalazioni di effetti positivi del farmaco sia sulla sua capacità di ridurre sia il carico allelico (la quantità di alleli mutati presenti nelle cellule del sangue) sia la fibrosi midollare (con report anche di scomparsa della stessa), così come vi sono state segnalazioni di aumento della sopravvivenza nei pazienti trattati con Jakavi rispetto a quelli trattati con terapia convenzionale. Al momento però queste segnalazioni non hanno ancora un significato che si possa estendere alla popolazione generale dei pazienti e pertanto, seppure promettenti, non ci permettono di dire con certezza se ed in che percentuale di casi il farmaco sia in grado di impattare il decorso della malattia. Naturalmente, tutti ci auguriamo che ciò possa essere confermato da studi futuri.
Passiamo ora ad altri inibitori di Jak. Quali novità a proposito di momelotinib e pactrinib?
I due farmaci sono stati riportati essere efficaci, in una parte di pazienti che non avevano tratto beneficio dalla terapia con ruxolitib, nel ridurre la splenomegalia e la sintomatologia, in alcuni casi con effetti mielosoppressivi minori rispetto a Jakavi.
Tuttavia, nel caso del momelotinib è stata riportata, in una percentuale di pazienti attorno al 40%, la comparsa di neuropatie sensitivo-motorie periferiche di modesta o media gravità che solo in parte sono regredite con la sospensione del farmaco ed in alcuni casi sono state permanenti. Ciò impone cautela ed attenzione nell'uso di questa molecola, che resta comunque una promettente alternativa al ruxolitinib, seppure ancora a livello di sperimentazione clinica. Pacritinib si è rivelato efficace nel ridurre la splenomegalia ed i sintomi con modesti effetti tossici sul midollo osseo e la sperimentazione del farmaco è tuttora in corso, così come quella del momelotinib.
Questi farmaci sono sperimentati anche in Italia?
Nuovi trial per questi due farmaci dovrebbero partire nei primi mesi del 2015.
Solitamente i criteri di arruolamento dei pazienti affetti da policitemia vera (PV) sono molto restrittivi ed escludono – ad esempio – i pazienti che presentano sintomi di splenomegalia. E’ possibile che in futuro i criteri vengano modificati?
Il trial Response 2301, ormai chiuso ed anzi in procinto di essere pubblicato, prevedeva fra i criteri di inclusione anche la splenomegalia, mentre un successivo trial è stato riservato a pazienti senza questo sintomo. E' comunque probabile che tra la fine del 2015 e l'inizio del 2016 anche in Italia, come già negli USA, Jakavi verrà reso disponibile nell'ambito del SSN con l'indicazione all'uso nei pazienti con PV e non sono al corrente della programmazione di nuovi trial clinici nella PV con questo farmaco.
Sono emerse anche delle novità sull’utilizzo del farmaco imetlestat?
Durante l'ASH è stato presentato uno studio di fase II su un numero limitato di pazienti svolto alla Mayo Clinic dal prof. Tefferi che ha mostrato, in pazienti affetti da mielofibrosi a rischio Intermedio 2 ed alto, efficacia del farmaco imetlestat sia sui sintomi che sulla splenomegalia e sull'anemia. Inoltre, in alcuni dei pazienti che avevano ottenuto una risposta clinica vi è stata anche una risposta favorevole sul carico allelico e sulla fibrosi midollare con riduzione fino alla scomparsa di entrambi. Tuttavia, è emersa anche la già nota tossicità midollare del farmaco soprattutto in termini di piastrinopenia. Nello studio presentato, sono state riportate 2 morti in corso di terapia delle quali una, per emorragia cerebrale, riconducibile al farmaco. Imetelstat resta comunque un farmaco che mantiene importanti prospettive e che andrà valutato su casistiche più ampie e multicentriche. E' probabile che, vista la sua tossicità, venga riservato alle forme di mielofibrosi ad alto rischio.