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Il punto sulle sperimentazioni al convegno della LIRH

Sabato scorso l'Istituto Leonarda Vaccari di Roma, ha ospitato uno degli eventi più attesi dalle persone affette da malattia di Huntington e delle loro famiglie, il convegno che la Fondazione LIRH - Lega Italiana Ricerca Huntington e malattie correlate onlus ogni anno organizza per fare il punto sulle terapie esistenti e le nuove sperimentazioni in corso, ma che diventa anche occasione di incontro e di scambio di esperienze. Significativo il titolo dell'appuntamento di quest’anno: "I confini della ricerca sulla Malattia di Huntington. Dalle scoperte iniziali ai risultati sperimentali".

All’incontro hanno partecipato circa 250 persone di ogni età tra pazienti affetti dalla malattia, familiari e caregiver e la partecipazione è stata altissima tanto che alla fine della prima sessione le domande sono andate avanti per ben due ore e hanno riguardato non solo i nuovi approcci terapeutici – che certamente sono una priorità – ma anche l’importanza della nutrizione, della fisioterapia, del supporto psicologico e l’importanza di superare il senso di disagio e vergogna che purtroppo accompagna ancora oggi questa patologia caratterizzata da ereditarietà e da un progressivo declino delle funzioni motorie e cognitive.

Contro questa patologia non esiste ancora una terapia capace di  evitare che si manifesti e, tantomeno, di ‘cancellare’ la mutazione genetica che ne è all’origine, ma la ricerca è straordinariamente fiorente di sperimentazioni, in gergo “trial clinici”, basati su approcci differenti, molti dei quali si svolgono anche in Italia: per il futuro si spera di poter avere a disposizione diversi farmaci e di poterli usare in combinazione così da bloccare i processi di disfunzione e degenerazione neuronale per migliorare così la prognosi e la qualità della vita dei pazienti, ad oggi circa 6-7000 persone nel nostro Paese se si contano solo le persone che già presentano i sintomi e 30-40000 a rischio di ammalarsi perché figli o fratelli di pazienti con questa malattia.

“Oggi sappiamo molto di questa patologia – ha spietato il prof. Ferdinando Squitieri, responsabile dell'Unità Ricerca e Cura Huntington e Malattie Rare dell'Istituto Ricovero e Cura a Carattere Scientifico Casa Sollievo della Sofferenza e Istituto Mendel di Roma, direttore scientifico e co-fondatore della Fondazione LIRH – ma non sappiamo tutto. Questo non impedisce intanto alla ricerca di andare avanti. Alcune sperimentazioni sono concluse e mostrano dei risultati estremamente incoraggianti. Altre sono assolutamente innovative e potrebbero avere degli effetti importanti sul decorso della malattia. E' un momento storico molto importante, chi ha dovuto assistere al deteriorarsi dei propri genitori o dei parenti nel corso della vita, oggi forse può guardare al futuro con una speranza diversa”.

Diverse le sperimentazioni sulle quali ci si è soffermati:

La pridopidina – Studio PRIDE-HD  (TEVA)
“La pridopidina ha già concluso una prima fase di sperimentazione e dai risultati si può sperare in un futuro con prospettive diverse rispetto al passato – ha spiegato il prof. Squitieri, Principal Investigator per l’Italia, che ha condotto lo studio di fase II appena conclusosi (Leggi qui la notizia). Lo studio è iniziato con l’obiettivo di concludersi entro 6 mesi, ma, durante il suo svolgimento, sono emerse potenzialità nuove del farmaco, che hanno fatto decidere di prolungarne la durata fino ad 1 anno. Dopo una terapia durata un anno, è dunque emersa, per la prima volta, l’efficacia di un farmaco sulla severità del decorso della malattia. I dati preliminari indicano che la pridopidina riduce la severità del decorso soprattutto se assunta in fase iniziale di malattia a dosaggi di 90 mg 2 volte al giorno (dosaggi molto più alti di quelli studiati in passato). Sarà ora necessario un ulteriore studio di fase III con un più alto numero di pazienti ai quali saranno somministrati solo i dosaggi che hanno dato risposte più significative.

Il silenziamento genico (Ionis – Roche)
Diverso l’approccio usato invece dall’azienda Ionis che in partnership con Roche sta studiando un farmaco basato sul sistema del silenziamento genico, che avrebbe la funzione di ridurre la produzione della proteina tossica huntingtina – prodotta dal gene mutato. Di questa particolare linea di sviluppo ha parlato il prof. Blair Leavitt dell'Università della British Columbia, Vancouver, Principal Investigator per il Canada di questa molecola. “Questa molecola – ha spiegato -  impedisce che il gene anomalo inizi a produrre la proteina che causa la malattia. Questo apre prospettive di grande speranza. Per ora stiamo facendo il primo passo, testandone tollerabilità e sicurezza ma se tutto andrà bene, una sperimentazione più vasta arriverà nel prossimo futuro". Per maggiori informazioni sulla molecola leggi l'articolo "Malattia di Huntington, test preclinici confermano la validità del candidato farmaco Ionis-HTTRx".

Studio AMARYLLIS (Pfizer)
Si tratta di uno studio condotto in Canada, finanziato da Pfizer, finalizzato a verificare se l’inibitore PDE10A possa aiutare i neuroni a comunicare più efficacemente tra loro, in modo da migliorare la coordinazione dei movimenti; i risultati sono attesi a breve, entro il primo quadrimestre del 2017.

Studio LEGATO-HD (TEVA)
La particolarità di questo studio è che la molecola utilizzata (laquinimod) è già entrata nella pratica clinica per la terapia delle persone affette da Sclerosi Multipla e che quindi i dubbi sulla sicurezza del farmaco nell’uomo sono già stati risolti positivamente per alcuni dosaggi. Per un periodo questo trial era stato rallentato da alcune difficoltà ma ora l’inserimento dei pazienti è ripreso.

Studio SIGNAL (Vaccinex)
La molecola, denominata VX15, è un anticorpo in grado di interferire col processo infiammatorio alla base della neurodegenerazione ed ha recentemente ottenuto lo status di Farmaco Orfano dalla FDA (leggi qui la notizia). Il trial, tuttora in corso nelle prime fasi di studio, sembra molto promettente e potrebbe rallentare il declino delle facoltà mentali e motorie.

Tutti insieme questi trial rappresentano una concreta speranza per una cura che finalmente contrasti in maniera efficace il processo neurodegenerativo che conduce verso l’inesorabile progressione di malattia nel giro di qualche anno, e si associano ai risultati positivi di altre sperimentazioni già concluse, come quella con SD-809 (TEVA, deutotetrabenazina), in attesa di approvazione finale dell’FDA, che ha mostrato beneficio sul sintomo còrea.

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