La dermatologa Miriam Teoli e il biologo Michele De Canio raccontano come è stato possibile risolvere un caso clinico particolarmente grave, con attacchi acuti ricorrenti
Roma – Nato nella prima metà degli anni ’60, il Centro Porfirie e Malattie Rare dell’Istituto Dermatologico San Gallicano (IFO IRCCS) di Roma è stato per molto tempo l’unico centro italiano ad occuparsi di questo gruppo di malattie metaboliche rare. Nel corso della sua lunga storia, sono state seguite più di 1.000 persone con porfiria e attualmente afferiscono al centro circa 500 pazienti con porfiria e 300 affetti da altre malattie rare.
Ma alcuni casi clinici restano più di altri nella memoria dei medici, per la loro gravità o per la soddisfazione di essere riusciti, ciò nonostante, a far guarire i pazienti. È ciò che è capitato recentemente alla dermatologa Miriam Teoli e al biologo Michele De Canio, in forza presso l'UOSD Porfirie e Malattie Rare dell'IFO–Istituto Dermatologico San Gallicano IRCCS di Roma, ambulatorio diretto dal dr. Marco Ardigò.
UN CASO CLINICO PARTICOLARMENTE SEVERO
“La maggior parte dei pazienti con porfiria non sperimenta attacchi acuti, o ne sperimenta soltanto pochi durante la propria vita”, premette la dr.ssa Teoli. “Invece, un nostro paziente ha presentato sintomi ricorrenti, con attacchi di dolore addominale, nausea e vomito, ad intervalli di tempo sempre più ridotti, che lo hanno portato a subire numerosi ricoveri anche in condizioni di salute gravi. Riferiva da anni anche altri sintomi come ipertensione arteriosa, contrazione della diuresi, tachicardia, crisi ipertensive, ansia, irritabilità. Dopo un ricovero in gravi condizioni in terapia intensiva presso un altro ospedale romano, è giunto presso il nostro Centro, dove nel 2009 gli abbiamo diagnosticato la porfiria acuta intermittente, una variante di porfiria epatica acuta”.
Dal momento della diagnosi, il paziente è stato sottoposto a diversi cicli di terapia con emina umana, per trattare gli attacchi acuti. Si stima che solo il 10% dei pazienti affetti da porfiria acuta vada incontro ad attacchi acuti che, il più delle volte, richiedono terapie sintomatiche. Di questi pazienti, una minoranza (circa il 3%) può avere attacchi acuti frequenti con ricorso a somministrazione di emina umana, che però può avere conseguenze invalidanti quali la flebotossicità, con necessità di ricorrere all'impianto di un accesso venoso centrale, la comparsa di sensibilizzazione e il sovraccarico marziale, con emocromatosi secondaria e possibile sofferenza epatica. Per questo motivo, il paziente è stato sottoposto anche a numerosi microsalassi terapeutici per contenere il sovraccarico di ferro. Tutte queste complicanze, così come anche la comparsa di disturbi cronici, legati agli attacchi subentranti, hanno avuto un importante impatto sulla sua qualità di vita e sull’attività lavorativa.
“La porfiria, infatti, non solo danneggia gli aspetti prettamente biologici e funzionali dell’organismo, ma spesso, con sfumature diverse sulla base delle specificità del paziente, incide in modo sostanziale sulla sua vita sociale, emotiva, familiare-relazionale e lavorativa”, sottolinea la dermatologa. La svolta è arrivata quando l’EMA nel 2020 e l'AIFA nel 2021 hanno approvato l’utilizzo del farmaco givosiran per il trattamento dei pazienti affetti da porfiria epatica acuta. Givosiran è un acido ribonucleico interferente breve a doppio filamento (siRNA) che provoca una riduzione dell’enzima acido aminolevulinico sintasi 1 (ALAS1) con conseguente riduzione dei prodotti intermedi neurotossici circolanti, l'acido aminolevulinico (ALA) e il porfobilinogeno (PBG), che rappresentano le principali cause di attacchi e altre manifestazioni della porfiria.
“Così il nostro paziente ha potuto iniziare la terapia: il farmaco ha dimostrato un ottimo profilo di sicurezza e una notevole efficacia nel prevenire l’insorgenza degli attacchi acuti, che non si sono più manifestati. Inoltre non è più stato necessario utilizzare l’emina umana a cadenza settimanale”, conclude la dr.ssa Teoli. “Dopo molti anni, il paziente, che aveva difficoltà anche solo a programmare o intraprendere un percorso di vita quotidiana come andare in vacanza in un'altra città per più di una settimana, ha finalmente riacquistato una libertà ormai dimenticata”.
L'IMPORTANZA DELLA DIAGNOSI BIOCHIMICA
Il valore aggiunto del San Gallicano è la presenza, fin dalle origini, del laboratorio di biochimica, che supporta i medici nella gestione del paziente, dalla diagnosi alla terapia. “Le porfirie possono essere riconosciute solo dimostrando l’associazione tra sintomi clinici aspecifici e l’incremento di determinati metaboliti presenti nel sangue, nelle urine o nelle feci. In caso di crisi acuta di porfiria, sintomi come forti dolori addominali, nausea, vomito e tachicardia sono sempre associati all’aumento nel sangue (e nelle urine) di sostanze neurotossiche come il porfobilinogeno (PBG) e l’acido 5-aminolevulinico (ALA)”, spiega il biologo Michele De Canio.
La possibilità di rilevare queste sostanze è quindi la chiave per risolvere un caso clinico attraverso l’appropriata terapia. Purtroppo, questo tipo di analisi è disponibile soltanto in pochi laboratori specializzati. “Accade spesso che i sintomi siano interpretati come manifestazioni di una malattia più comune e che i pazienti con porfiria epatica acuta giungano alla diagnosi dopo un lungo e frustrante percorso di ricoveri in medicina d’urgenza, visite in ambulatori specialistici ed esami strumentali non risolutivi”, prosegue il dr. De Canio. “Una diagnosi precoce è invece importante per impedire la progressione dell’attacco acuto verso conseguenze più gravi per la salute del paziente, come la tetraplegia o la paralisi respiratoria”.
SAN GALLICANO: SESSANT'ANNI DI ESPERIENZA
Nel febbraio 2021, al San Gallicano è avvenuta la prima somministrazione di una dose di givosiran ad un paziente affetto da porfiria acuta intermittente, nell'ambito di una sperimentazione clinica. Ma il Centro non si occupa solo di porfiria: negli ultimi sessant'anni l’attività clinica è stata estesa allo studio di numerose malattie rare a interesse dermatologico.
Riconosciuto come Centro di Riferimento Regionale nel 2004, oggi si occupa anche di diagnosi, terapia, follow-up e prevenzione per emocromatosi ereditaria, malattie bollose autoimmuni (pemfigo, pemfigoide, dermatite IgA lineare), connettivite mista, pioderma gangrenoso, cheratodermia palmo-plantare e sindrome SAPHO. Inoltre, collabora attivamente con altri centri specialistici italiani che afferiscono al GrIP (Gruppo Italiano Porfiria), e aderisce al network europeo EPNET (European Porphyria Network).
IL VALORE DELLA SENSIBILIZZAZIONE
La diagnosi e la gestione della porfiria risultano spesso difficoltose a causa della complessità della malattia stessa e dell’aspecificità dei segni clinici, comuni a diverse condizioni. “Solamente attraverso l'informazione diretta ai pazienti e agli stessi medici, che spesso conoscono poco o quasi per nulla la porfiria, si può ottenere una diagnosi in tempi più brevi e una migliore gestione della patologia”, afferma la dr.ssa Teoli.
Un esempio di quest'opera di sensibilizzazione è la mostra “Oltre il visibile: suggestioni visive e racconti sulla porfiria epatica acuta”, recentemente ospitata presso il San Gallicano. Il progetto artistico racconta l’esperienza dell’attacco acuto di porfiria attraverso le opere degli studenti della Nuova Accademia di Belle Arti (NABA) di Milano. “La mostra che abbiamo avuto la fortuna di ospitare è stata pensata per parlare al grande pubblico e raccontare la malattia con gli occhi dei pazienti, facilitando l'emergere di casi non diagnosticati”, conclude la dr.ssa Teoli. “Credo che abbia descritto molto bene questa malattia, sottolineando il disagio psicologico del paziente non soltanto a causa del dolore fisico, ma anche per lo stato di confusione, la difficoltà nei movimenti e la percezione distorta del mondo circostante”.