I risultati ottenuti in modelli animali, per quanto preliminari, sembrano dimostrare l'efficacia di questa classe di farmaci nel rallentare il processo neurodegenerativo tipico della malattia
La diagnosi di sclerosi laterale amiotrofica (SLA) è un macigno che piomba addosso ai malati con tale violenza da non lasciare scampo. Questa terribile malattia è, infatti, provocata da un'inesorabile degenerazione dei motoneuroni che, nell’arco di 3-5 anni, conduce alla morte del paziente. Uno degli aspetti peggiori della SLA è che, analogamente a quanto accade per alcune patologie neurodegenerative, come l’Alzheimer, il paziente ha tutto il tempo di realizzare a cosa sta andando incontro, constatando la progressiva e inarrestabile incapacità del corpo di rispondere ai comandi del cervello. Negli anni è stato possibile appurare che alla radice della SLA ci siano delle specifiche mutazioni genetiche, come quella che intacca il gene della superossido dismutasi 1 (SOD1).
In circa un quinto dei pazienti affetti da SLA la causa della malattia è da riscontrarsi nelle mutazioni a danno del gene che codifica per SOD1 ma oggi, grazie al lavoro svolto dai ricercatori della Washington University di San Louis e della Harvard Medical School di Boston, in collaborazione con il personale della società farmaceutica Biogen, questa frazione di malati potrebbe presto ricevere una terapia. Infatti, i dati apparsi sulla rivista The Journal of Clinical Investigation mettono in luce come la somministrazione di oligonucleotidi antisenso (ASO) in modelli animali abbia prodotto risultati definiti addirittura impressionanti dagli stessi ricercatori statunitensi.
La mutazione del gene SOD1 determina una sovra-espressione dell’omonima proteina, indicata come una delle principali cause del repertorio sintomatologico manifestato dai malati di SLA. L’uso degli ASO costituisce un efficace metodo per tentare di abbassare i livelli di SOD1, dal momento che queste piccole molecole si legano in maniera complementare all'RNA messaggero che serve a produrre SOD1, consentendone l’eliminazione. Il loro utilizzo è stato già testato con successo in modelli suini della malattia di Huntington mentre la terapia a base dell'oligonucleotide antisenso nusinersen è stata recentemente approvata per i pazienti con atrofia muscolare spinale (SMA).
I risultati dello studio pubblicato di recente evidenziano il consistente rallentamento negli animali del processo di neurodegenerazione, misurato già a poche settimane dall’inizio della somministrazione degli ASO, rispetto a quello riscontrato negli esemplari sottoposti a placebo. Inoltre, è stato possibile osservare un ripristino della funzionalità neuromuscolare, che ha restituito agli animali una buona motilità e la capacità di alimentarsi da soli, con conseguente ritorno a valori di peso corporeo normali. Gli evidenti miglioramenti della salute e l’allungamento medio della vita degli animali sono stati tali da indurre i ricercatori ad avviare uno studio clinico su poco più di 80 pazienti con SLA. L’assenza di episodi di tossicità nei primi casi arruolati ha costituito un’ulteriore spinta al passaggio alla fase di ricerca della dose ottimale. Entro l’inizio del 2019 lo studio dovrebbe giungere a completamento, riportando anche le valutazioni sugli effetti clinici e molecolari del trattamento sperimentale.
E adesso che questo manipolo di esploratori della ricerca si è aperto una strada nella fitta vegetazione della malattia, altre spedizioni si stanno preparando a partire: nei mesi scorsi è stato, infatti, approfondito il ruolo di altre proteine, come FUS e MFN2, che secondo studi su modelli animali e osservazioni di laboratorio, sono considerate possibili e validi bersagli terapeutici. E mentre gli studi con CRISPR-Cas9 stanno indagando l’ampio repertorio di mutazioni all’origine della SLA, la speranza di offrire una nuova e promettente terapia ai malati non solo si fa concreta ma potrebbe essere anche il primo passo per il trattamento di altre malattie neurodegenerative che, con la SLA, presentano molte analogie.