malattia di Huntington, maialeIl lavoro di un team di ricerca cinese apre alla possibilità di approfondire lo studio dei danni neuronali che la condizione provoca nel tempo

L’impiego dei modelli animali nei laboratori di ricerca risponde alla concreta necessità di studiare una malattia sostituendo il soggetto umano con un essere vivente che sia in grado di 'imitarlo' con precisione. Quindi, oltre all’osservazione del malato in vivo e allo studio di linee cellulari in vitro, esiste la possibilità di svelare i più arcani passaggi dell’eziopatogenesi di una malattia ricorrendo ai modelli animali, e questo offre una possibilità ineguagliabile di approfondire la conoscenza di complessi disturbi neurodegenerativi come la malattia di Huntington.

Finora, questa patologia, per la singolarità della mutazione che la scatena (un’espansione della tripletta CAG a livello del gene HTT, il quale codifica per una proteina denominata huntingtina), si è particolarmente prestata a studi effettuati su modelli murini, all’interno dei quali è stato visto che l’accumulo di huntingtina mutata si associa all’insorgenza dei tipici sintomi neurologici della malattia. Tutto ciò ha fornito elementi preziosi per proseguire la ricerca, sia in campo diagnostico che terapeutico, ma il modello murino non è in grado di riproporre in maniera convincente l’evidente e devastante degenerazione neuronale tipica della Huntington. Questo è dovuto sia alla differenza tra le varie specie, in termini di durata di vita, genomica e fisiologia, sia alle diversità anatomiche e funzionali che si pongono tra il sistema nervoso dei roditori e quello dell'uomo, diversità che riguardano soprattutto i tempi di sviluppo e le aree cerebrali principalmente colpite dalla malattia, come il nucleo caudato e il putamen. Da ciò la necessità di individuare modelli animali più vicini all’uomo.

La scelta dei suini quali candidati ideali per la creazione di un nuovo modello sperimentale per la malattia di Huntington e l’impiego di sofisticate tecniche di ingegneria genetica hanno consentito a un’equipe di ricerca cinese di tagliare un nuovo traguardo nella lotta contro la malattia: sulle pagine della rivista Cell, infatti, è stato pubblicato un articolo che spiega come gli studiosi orientali siano riusciti a produrre una generazione di maiali nei quali fosse espressa la mutazione umana che causa la malattia di Huntington. In studi precedenti, era stato osservato come gli esemplari che esprimevano questa mutazione non fossero in grado di sopravvivere a lungo, impedendo così ai ricercatori di esaminare i meccanismi di degenerazione neuronale che sono legati alla malattia e che si instaurano nel tempo. Usando la tecnica di editing genomico CRISPR-Cas9 sui fibroblasti, i ricercatori hanno inserito un’ampia sequenza di triplette CAG ripetute all’interno del gene HTT e, successivamente, sfruttando le tecniche di trasferimento nucleare somatico, hanno ottenuto degli embrioni che, dopo esser stati impiantati nelle scrofe, hanno condotto alla nascita di esemplari (F0) che esprimevano la mutazione. Tale mutazione è stata poi geneticamente trasmessa alle successive generazioni di maiali (F1 e F2), in cui è stato possibile osservare l’instaurarsi di una sintomatologia strettamente legata alla Huntington.

In questi animali è stato possibile trovare conferma di un robusto e selettivo procedimento neurodegenerativo a danno dei piccoli neuroni spinosi, che si osserva specialmente nelle fasi iniziali della malattia, e in diverse generazioni di maiali modificati è stato registrato un fenotipo della malattia compatibile con quello che affligge l’uomo. Inoltre, è stato possibile verificare come la terribile devastazione neurologica che contraddistingue la malattia di Huntington tragga origine proprio dalle mutazioni che colpiscono il gene HTT e che producono, con la differenziazione e la maturazione delle cellule neuronali, l’accumulo di materiale proteico non funzionale e tossico.

Un vantaggio del modello suino è rappresentato dalla possibilità di utilizzarlo per la convalida dei risultati in ambito terapeutico. L’impiego di oligonucleotidi antisenso (ASO) per ridurre la produzione di huntingtina mutata, ad esempio, è già stato sperimentato in modelli murini, ma la prosecuzione dei test, o la valutazione del possibile uso degli ASO in altre patologie neurodegenerative, quali Alzheimer e Parkinson, esige l'uso di un modello animale che replichi con massima aderenza la perdita neuronale osservata nel cervello umano. Lo stesso discorso vale anche per un potenziale trattamento che sfrutti le cellule staminali per sostituire i neuroni compromessi, una delle sfide più allettanti nella lotta contro la malattia di Huntington.

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