Il tema è stato oggetto di un webinar organizzato da OMaR e Amicus Therapeutics: protagonista la dr.ssa Marisa Santostefano, del Policlinico Sant'Orsola-Malpighi di Bologna
Roma – Patologie come l'amiloidosi, la malattia di Fabry, la sclerosi tuberosa, le glicogenosi, le vasculiti, la cistinuria e tante altre: sono le malattie renali rare. Di queste condizioni si è parlato nel corso del webinar dal titolo “La gestione del paziente con malattia renale rara in situazione di emergenza sanitaria. L’esperienza di un centro di riferimento in epoca COVID-19”, che si è svolto lo scorso 14 luglio. L'evento è stato organizzato da Osservatorio Malattie Rare (OMaR) con il contributo non condizionante di Amicus Therapeutics, e l'esperta di patologie di interesse nefrologico che ha illustrato questi temi è stata la dr.ssa Marisa Santostefano, responsabile dell'ambulatorio “Malattie rare del rene” del Policlinico Sant'Orsola-Malpighi di Bologna.
Le malattie rare conosciute fino ad oggi sono circa 8.000, e di queste solo 300 hanno una cura: all’interno di questo ampio gruppo, le patologie con coinvolgimento renale non fanno eccezione, dato che spesso non hanno una terapia specifica. Si tratta, inoltre, di condizioni che generalmente non interessano solo i reni, ma anche altri organi e apparati: sono quindi malattie multisistemiche, che devono quindi essere trattate da un team multidisciplinare.
“La gestione del paziente con malattia rara si può svolgere soltanto attraverso la collaborazione – trasversale e non verticale – del team multispecialistico, che spesso è il motivo dei buoni risultati diagnostici e terapeutici ottenuti”, ha spiegato la dr.ssa Santostefano. “È importante che il gruppo si dia delle regole, e che raggiunga un consenso interno se non esistono delle linee guida internazionali. Il consenso dovrebbe riguardare la raccolta preliminare di un database pazienti, per dati anagrafici ma soprattutto clinici; gli specialisti dovrebbero poi uniformare il follow-up dei pazienti, stabilendo le tempistiche del monitoraggio”.
La seconda parte del webinar ha riguardato l'impatto che ha avuto la pandemia di Coronavirus sulle visite e sui controlli per le persone affette da malattie rare. Per rispettare le norme sul distanziamento sociale, infatti, è stato necessario riorganizzare e rimettere in discussione la normale gestione di questi pazienti. Oggi tutti noi ci auguriamo di no, ma sappiamo che il rischio di una seconda ondata virale esiste: ciò che abbiamo imparato nei mesi passati ci deve quindi servire da lezione, in modo che il virus SARS-CoV-2 non ci trovi più impreparati.
“Quando il Coronavirus è arrivato anche al Policlinico Sant'Orsola-Malpighi, da un momento all'altro nessuno di noi era più specialista, ma siamo diventati tutti medici del COVID-19, abbiamo fatto solo quello”, ha raccontato la dr.ssa Santostefano. “Non è esistita più l'attività programmata, i ricoveri programmati: il virus ha spazzato via tutto. La fase I, quella del lockdown, è stata un ‘Medio Evo’, in cui c'è stato bisogno che noi operatori sanitari cambiassimo regime di vita e di approccio al paziente: io ho adottato lo smart working, l'unico modo per mantenere un minimo di attività assistenziale. Ho ascoltato i pazienti con interlocuzioni telefoniche e scambi di e-mail, prendendo nota della loro situazione clinica. Poi è arrivato il momento più nero: la chiusura di tutte le attività ambulatoriali sul territorio”, ha proseguito la specialista.
“Oggi, con la fase II, è cambiato il nostro stile di visita: il COVID-19 non occupa più tutte le corsie e tutta l'attività specialistica, che cominciamo appena adesso a riprendere. Aspettiamo però che tutto torni come prima, e quindi che la visita e il controllo medico ridiventino momenti etici e di crescita”.