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Depressione

La malattia che ha colpito Céline Dion viene spesso confusa con il Parkinson, la sclerosi multipla o la fibromialgia, oppure scambiata per condizioni psicosomatiche come ansia e fobie

Non sorprende il fatto che Céline Dion abbia deciso di cancellare tutte le date della sua tournée europea: la malattia da cui è affetta comporta una serie di sintomi, sia fisici che psicologici, per cui cantare, ballare, o anche solo muoversi su un palco – e farlo davanti a migliaia di persone – diventa molto difficile. È stata la stessa cantante a confidare ai suoi fan la diagnosi ricevuta quasi un anno fa: si tratta della sindrome della persona rigida (in inglese "stiff person syndrome"), una malattia neurologica rara e progressiva. Ora, secondo la stampa americana e canadese, le sue condizioni di salute starebbero peggiorando, e c'è il rischio che non sia più in grado di esibirsi dal vivo.

I sintomi di questa patologia possono essere vari e più o meno gravi, dalla rigidità muscolare nel tronco, nelle braccia e nelle gambe, fino a una maggiore sensibilità ai rumori, agli stimoli cutanei e allo stress emotivo, che possono scatenare dolorosi spasmi muscolari. Nel corso del tempo, inoltre, è possibile sviluppare una postura curva, ed è ciò che – secondo una fonte vicina alla famiglia – sarebbe accaduto anche a Céline Dion. In alcuni casi i pazienti, i cui riflessi sono meno pronti, vanno incontro a cadute e conseguenti lesioni. Le persone con sindrome della persona rigida, infine, possono avere paura ad uscire di casa perché i rumori della strada, come il suono di sirene o clacson, possono scatenare spasmi improvvisi e quindi cadute. Nei casi più gravi, la disabilità è tale da impedire di muoversi senza l'aiuto di una sedia a rotelle.

“Purtroppo è spesso inevitabile lo sviluppo di depressione, fobie, agorafobia (paura degli spazi aperti) e ansia anticipatoria (paura di quello che potrebbe accadere), che portano ad un grave isolamento sociale in una triste spirale di sofferenza a causa di limitazioni fisiche e sociali”, ha spiegato il prof. Paolo Maria Rossini, responsabile del Dipartimento di Neuroscienze e Neuroriabilitazione dell’IRCCS San Raffaele di Roma. “I pazienti spesso soffrono di fluttuazioni dei sintomi durante il giorno, che peggiorano peraltro in concomitanza a stress fisico ed emotivo, ma anche esposizione al freddo ed eventuali infezioni. La rigidità muscolare progressiva immobilizza il torace e le anche, così l’andatura diventa rigida e impacciata”.

Descritta per la prima volta negli anni '50 del secolo scorso, la malattia colpisce una persona su un milione, soprattutto donne: inizialmente, infatti, veniva chiamata "sindrome dell'uomo rigido" ma gli scienziati, dopo aver scoperto che le donne hanno il doppio delle probabilità di contrarla rispetto agli uomini, hanno deciso di cambiare il nome della patologia. Le cause non sono ancora state chiarite, ma la ricerca indica che potrebbe essere il risultato di una risposta autoimmune non andata a buon fine: quello che si osserva è, tra l’altro, una progressiva perdita di neuroni nel midollo spinale e nel cervelletto, con diffuse aree di infiammazione. Ciò che ormai è chiaro, invece, è che si associa spesso ad altre malattie autoimmuni come il diabete di tipo I, la tiroidite, la vitiligine e l'anemia perniciosa.

La diagnosi si basa essenzialmente sull'osservazione clinica, ma non è semplice: viene spesso confusa con la malattia di Parkinson, la sclerosi multipla o la fibromialgia, oppure scambiata per condizioni psicosomatiche come ansia e fobie. Una diagnosi definitiva può essere fatta con un esame del sangue che misura il livello degli anticorpi della decarbossilasi dell’acido glutammico (GAD), elevati nella maggior parte delle persone con la sindrome; titoli anticorpali di GAD fino a 10 volte superiori al normale sono riscontrabili anche nel diabete, ma nella sindrome della persona rigida i titoli sono molto più elevati (almeno 10 volte superiori al range osservato nel diabete) o sono presenti anche nel liquido spinale.

La malattia non ha ancora una cura, ma in molti casi, con una terapia appropriata, può essere tenuta sotto controllo. Diversi sintomi migliorano con le benzodiazepine, in particolare il diazepam orale (un farmaco ansiolitico e miorilassante) o con medicinali che alleviano gli spasmi muscolari, come baclofene o gabapentin. Sono state proposte anche delle terapie immunomodulanti come i corticosteroidi, la plasmaferesi e le immunoglobuline per via endovenosa, con risultati variabili.

In particolare, uno studio clinico condotto negli Stati Uniti dal 1996 al 2002 e finanziato dal National Institute of Neurological Disorders and Stroke (NINDS) ha dimostrato che il trattamento con immunoglobuline per via endovenosa (anticorpi naturali prodotti dal sistema immunitario e derivati da migliaia di donatori sani) è efficace sia nel ridurre la rigidità e la sensibilità ai rumori, agli stimoli cutanei e allo stress emotivo, sia nel migliorare l’andatura e l’equilibrio. Tuttavia neanche questo trattamento, come i precedenti, si è rivelato risolutivo.

In Italia la malattia ha un suo codice di esenzione, RF0411. Non esiste ancora un'associazione dedicata in modo specifico alla patologia, ma spesso i pazienti si rivolgono alle organizzazioni che si occupano più in generale di malattie autoimmuni rare.

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