Pubblicato sulle pagine de Il sole 24 ore del 12 novembre 2013, l'editoriale scritto dal Professor Dallapiccola – direttore scientifico dell'Ospedale pediatrico Bambino-Gesù - tratta il tema della direttiva sull'assistenza transfrontaliera, con particolare riferimento ai pazienti affetti da malattie rare.
Riportiamo di seguito le parole di Dallapiccola.
"L'articolo 4 della direttiva 2011/24/Ue del Parlamento europeo sintetizza efficacemente, nei principi di universalità, di accesso alle cure di elevata qualità, di equità e solidarietà, lo spirito che ha guidato il legislatore nel definire le regole che governano l'assistenza sanitaria transfrontaliera, sottolineandone il valore etico e sociale.
Nonostante la direttiva si rivolga a tutta la popolazione bisognosa di cure, in molti Paesi europei viene identificata come legge rivolta ai malati rari, che di fatto sono quelli che di solito incontrano le maggiori difficoltà a identificare percorsi di diagnosi, cura e presa in carico appropriati. Non sorprende perciò che alle malattie rare venga fatto spesso riferimento nel testo e a esse siano dedicati articoli specifici. La direttiva è entrata in vigore ufficialmente lo scorso 25 ottobre, trenta mesi dopo la sua promulgazione e quattro anni dopo l'emanazione della raccomandazione del Consiglio d'Europa (2009/C 151/02) che ha invitato gli Stati membri ad adottare, possibilmente entro la fine del 2013, strategie o piani nazionali per le malattie rare. È legittimo allora chiederci come ci siamo preparati e soprattutto se siamo pronti ad attuare la direttiva.
A questa domanda ha tentato di rispondere un recente dossier elaborato da Cittadinanza Attiva, che sostanzialmente fornisce una risposta negativa, non solo per quanto attiene all'Italia, ma che riguarda anche la maggior parte degli altri Paesi europei. Nella legge sono bene esplicitati i diritti assistenziali dei cittadini rivolti a valutare, mantenere o ristabilire lo stato di salute. Obiettivi che vengono conseguiti attraverso interventi di prevenzione, diagnosi e terapia che non riguardano solo le persone affette ma si estendono anche ai loro familiari. Questi obiettivi devono essere raggiunti attraverso un flusso di informazioni, rispetto alle quali i medici e, soprattutto, i Paesi devono svolgere un ruolo attivo attraverso uno o più punti contatto. Il ministero della Salute ha già creato il proprio punto di contatto, che al momento non è ancora attivo.
Non è facile immaginare da quale fonte saranno attinte le informazioni più rilevanti per la circolazione transfrontaliera dei pazienti, considerata la straordinaria eterogeneità dei problemi sanitari e delle domande poste dai cittadini e le molte specializzazioni e, soprattutto, in quale maniera sarà possibile garantire la qualità delle informazioni e dell'assistenza.
Per le malattie rare, il database Orphanet può rappresentare un utile strumento di orientamento, con un elenco di oltre 6.500 centri clinici specializzati (991 in Italia) e oltre 1.650 laboratori diagnostici. Di fatto, non è casuale che a esso venga fatto riferimento nell'articolo 13. Senza dubbio sarà più problematico disporre di dati altrettanto sistematici per le malattie non incluse in quest'elenco.
La direttiva transfrontaliera viene spesso vista soprattutto come opportunità di emigrazione dei pazienti italiani verso punti di assistenza europei, piuttosto che come occasione di accoglienza nel nostro Paese per i cittadini stranieri bisognosi di cure. Possiamo considerare appropriata questa visione bidirezionale del flusso dei pazienti? Certamente sì, se pensiamo alle numerose eccellenze presenti in Italia, che probabilmente dovrebbero approfittare, nell'occasione dell'avvio di questa legge, non solo di un'azione di promozione da parte delle Regioni e del ministero della Salute, ma anche di autopromozione. Questa direttiva offre un'altra opportunità: quella di verificare l'appropriatezza della domanda dei cittadini rivolta a ottenere l'autorizzazione a servizi sanitari nei Paesi stranieri.
Come ha avuto modo di ricordare il ministro Lorenzin, lo scorso 22 ottobre, in occasione di un'audizione in Commissione Sanità, il nostro sistema sanitario, pure in un contesto variegato, è stato considerato dall'Oms uno dei primi in Europa, sulla base di tre indicatori: il miglioramento dello stato complessivo della salute della popolazione; la risposta alle aspettative di salute e dì assistenza sanitaria dei cittadini; l'assicurazione delle cure sanitarie a tutta la popolazione.
Sarà perciò particolarmente utile capire quali e quante delle prestazioni erogate all'estero ai pazienti italiani siano realmente irrinunciabili, in quanto non disponibili nel nostro Paese, o piuttosto non riflettano un'assistenza dirottata dalla disinformazione.
Ritornando al tema delle malattie rare, la situazione resta certamente complicata. La rete italiana dei presìdi è una delle più fitte in Europa, con 697 centri, anche se non è noto quanti di essi abbiano le caratteristiche dei Centri di esperienza (o di competenza), secondo la definizione europea del 2011, che è poi quella che guiderà la realizzazione delle reti europee di riferimento all'interno delle quali si muoveranno i malati comunitari.
Restano da ultimo poco chiari alcuni aspetti applicativi della direttiva, primo tra tutti quello relativo all'armonizzazione dei comportamenti e delle autorizzazioni da parte delle Regioni. In particolare, le sostanziali differenze con le quali vengono oggi trattati i malati rari nelle diverse Regioni, avranno gli stessi riflessi anche sul rilascio delle autorizzazioni a circolare in Europa? I malati rari non inseriti nell'elenco saranno a tutti gli effetti cittadini europei? Chi certificherà l'appropriatezza di un servizio richiesto all'estero? Chi definirà il concetto di 'necessità' e di 'proporzionalità' dell'intervento (articolo 8)?
Rispondere a queste e altre domande, significherà dare piena attuazione alla direttiva.