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Mai come in questi ultimi mesi la cronaca si è occupata di malattie rare e di pazienti orfani di cure. L’opinione pubblica sta assistendo ad un circo mediatico dove i tanti protagonisti, quelli che si fanno riconoscere e quelli che invece rimangono nell’ombra, stanno facendo di tutto per avere ragione.
Sulla storia di Caterina Simonsen  e il caso Stamina, due vicende che si sono intrecciate l’una all’altra senza volerlo, ognuno ha tratto le propri personali conclusioni e difficilmente tornerà indietro. In mezzo a tutto questo, però, c’è la vita di milioni di persone che con le malattie rare convivono e combattono ogni giorno; una lotta a volta impari perché per molti di loro non solo non c’è una cura ma spesso manca anche una diagnosi certa.


A causa della superficialità con la quale qualcuno ha deciso di trattare questi temi e della tanta ignoranza che viene alimentata per interessi personali, in molti si  trovano oggi a pagare un costo troppo alto. Questo è il caso di Caterina Simonsen.

Caterina è una ragazza di 24 anni che nel 2009 scopre di essere affetta da una malattia genetica rara, il deficit di alfa-1 antitripsina, che colpisce il fegato e i polmoni e obbliga a sottoporti a lunghe terapie quotidiane, oltre a circa 10 aereosol al giorno. In seguito alla prima diagnosi scopre di essere affetta da altre tre malattie rare ma, malgrado le sue condizioni di salute, si iscrive all’Università e va a vivere da sola.

La sua testimonianza è stata raccolta per la prima volta circa un anno fa e ripresa dalla testata online Tempi.it. In questa intervista Caterina parla di ricerca scientifica e del controverso caso Stamina; successivamente pubblica un video sul suo profilo facebook in cui afferma che dalla sperimentazione animale non si può ancora prescindere. Pretendere di eliminare la sperimentazione animale è solo un modo per  intralciare la ricerca scientifica o mettere a rischio la salute di altri esseri umani: questo è il contenuto del video.
Da quel momento in poi la vita di Caterina si è legata ad un filo invisibile di accuse, minacce, e tanto altro che nulla ha a che fare con l’intelligenza e la libertà d’opinione. Perché Caterina, su questi temi, ha espresso delle argomentazioni serie, ha voluto rispondere a un attacco che viene portato da molto tempo contro la scienza e la ricerca medica, quella stessa ricerca che a lei, e a milioni di altri pazienti rari, ha salvato la vita. Sostiene la sperimentazione animale, ma è anche animalista - questo è ciò che afferma con le sue parole - ama cani, gatti, furetti e topolini, è vegetariana, studia Veterinaria, ma è consapevole che non ci sono alternative all’utilizzo degli animali nello sviluppo e nella produzione di farmaci sicuri.

Farmaci sicuri. E’ soprattutto questo che dovrebbe interessare l’opinione pubblica e invece, sul caso Stamina e sulle preoccupazioni di Caterina che si batte per una sperimentazione rigorosa e trasparente, da tempo stiamo assistendo ad una guerriglia fatta di opinioni personali, di antichi dissapori, di interessi economici, di Tribunali e di ignoranza.
Perché anche adesso, dopo mesi in cui si viene sommersi dalla cronaca di questi due casi mediatici, si comprende quasi subito che quando si parla con le persone di sperimentazioni scientifiche e di staminali,  non si sa bene di cosa si stia trattando. La difficoltà a comprendere queste tematiche era già emersa anche nel sondaggio presentato nello scorso mese di novembre da Assobiotec e condotto da ISPO Ricerche, dal quale era risultata evidente una totale assenza di consapevolezza circa le cellule staminali da parte degli italiani.

Tematiche importanti per la vita delle persone, sane o malate, eppure trattate con una superficialità estrema. Niente di tutto questo serve ai malati e alle loro famiglie che spesso si trovano ad assisterli in piena solitudine. Non è d’aiuto alle associazioni di pazienti che, da mesi, si trovano a dare risposte a chi chiede loro cosa finanziano con la raccolta fondi e se è vero che nei laboratori si torturano gli animali. Nè favorisce le aziende farmaceutiche, contro cui tanti si scagliano. Non c’è dubbio che in quanto aziende abbiano interessi economici a fare ricerca per le malattie rare ma, non dovrebbe esserci dubbio nemmeno che i pazienti abbiano bisogno di ricerca e che, dunque, in questo caso, l’interesse dell’azienda va a soddisfare un bisogno del malato e spesso va anche oltre, poiché le aziende spesso finanziano servizi d’assistenza sanitaria che lo Stato non riesce a garantire. Lo sanno bene anche gli scienziati seri che tutto questo parlare non porta da nessuna parte e che, malgrado le tante difficoltà e la scarsità di risorse economiche, loro porteranno avanti le ricerche senza risparmiarsi per arrivare a garantire ai malati rari una cura orfana. Oggi, però, orfana soprattutto di umiltà e umanità da parte di tutti coloro che non vogliono vedere Caterina perché questo significherebbe guardare oltre se stessi.

 

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