Per la coordinatrice del progetto Rare Commons, la difficoltà maggiore è la raccolta di un significativo campione di pazienti per la partecipazione ai trial
VUARRENS (SVIZZERA) – Begonya Nafría è la Patient Advocacy Manager dell'ospedale pediatrico Sant Joan de Deu di Barcellona e coordinatrice del progetto di ricerca Rare Commons. Coordina anche il gruppo consultivo dei più piccoli, chiamato Kids Barcelona: composto da 17 adolescenti, insieme al comitato scientifico aiuta a migliorare i diversi progetti nel campo della ricerca, dell'innovazione e della sperimentazione clinica. Begonya Nafría è stata intervistata dalla piattaforma di crowdfunding RE(ACT) Community all'interno della sua serie di interviste #RARETalk, che coinvolgono persone attive nello scenario delle malattie rare.
Cos'è Rare Commons? Come funziona?
Rare Commons è una piattaforma pensata per sviluppare progetti di ricerca clinica sulle malattie rare, che supera la lingua e i confini geografici. I diversi progetti di ricerca in corso sono accessibili in spagnolo, inglese e alcuni in francese e in italiano. Lavoriamo a livello internazionale, perché è l'unico modo per raccogliere campioni significativi di pazienti e anche “smart data” clinici. Grazie a questo strumento e con le potenzialità dell'intelligenza collettiva e dell'esperienza dei pazienti e dei genitori, stiamo creando dei database clinici che ci permettono di descrivere la storia naturale delle malattie.
È importante perché possiamo anche analizzare la correlazione tra genotipo e fenotipo. La metodologia della ricerca è molto semplice. Prima di tutto, potenziamo e miglioriamo il livello di conoscenza della famiglia, con i “capitoli scientifici”: questi sono materiali didattici scritti dai nostri medici con un linguaggio semplice. L'obiettivo è quello di condividere le informazioni su tutti i diversi aspetti della malattia, dall'inizio (la causa) al futuro (possibili trattamenti innovativi). Quando una famiglia finisce di leggere un capitolo su un argomento della malattia (per esempio sulla genetica), è disposta a fare un sondaggio per raccogliere informazioni sul loro figlio o figlia.
Quando hanno terminato, possono accedere alle informazioni statistiche che abbiamo in questo momento, con la stretta collaborazione delle famiglie. Per ogni capitolo, il ciclo si ripete. Se durante questo processo la famiglia ha qualche dubbio, Rare Commons offre la possibilità di affrontare le questioni direttamente con il ricercatore capo del progetto, e anche di scambiare opinioni con le altre famiglie in un'area sociale denominata “social commons”.
Quali malattie rare state studiando e quali sono i principali risultati che avete raggiunto con i vostri progetti?
Abbiamo quattro progetti di ricerca in corso, sulla sindrome di Lowe, sui disturbi congeniti della glicosilazione, sulla neurodegenerazione con accumulo cerebrale di ferro (NBIA) e su cinque distrofie retiniche ereditarie. In questo momento stiamo reclutando pazienti per due nuovi progetti sulla dermatomiosite giovanile e sull'osteogenesi imperfetta.
In generale, due delle sfide più importanti che dobbiamo affrontare per questi progetti sono la raccolta di un significativo campione di pazienti e l'opportunità di sfruttare l'esperienza delle famiglie e dei pazienti. Possiamo perdere informazioni importanti, se non lavoriamo insieme a loro e anche se non includiamo argomenti, parametri e informazioni che sono molto importanti nella loro vita quotidiana. I risultati specifici e provvisori sono pubblicati sul nostro sito.
Secondo te qual è la sfida più difficile per la ricerca scientifica sulle malattie rare? In che modo le realtà come RE(ACT) Community e Rare Commons possono agire per cambiare questo scenario?
La prima sfida più difficile è raccogliere un campione significativo di pazienti, perché richiede tempo e un profondo coinvolgimento dell'associazione. In aggiunta a ciò, non è facile generare interesse tra i ricercatori di base e le aziende farmaceutiche. Se potessimo raccogliere un enorme, importante ed esaustivo database clinico basato su sintomi simili, potremmo aiutare le industrie farmaceutiche nello sviluppo di nuovi farmaci orfani o altri tipi di trattamento. L'unico modo è quello di andare avanti, lavorando a stretto contatto. RE(ACT) Community e Rare Commons sono piattaforme che possono permettere la connessione tra i diversi attori coinvolti nella ricerca sulle malattie rare, con una prospettiva internazionale e collaborativa.
Puoi condividere tre cose che hai imparato dalla tua esperienza professionale e che possono aiutare i ricercatori e i pazienti?
La prima è la qualità di vita, un parametro a volte più importante per i pazienti e le famiglie che per i ricercatori. La vita quotidiana può essere molto difficile, se non trattiamo e consideriamo il paziente con una visione globale. La seconda sono le famiglie, che hanno un enorme potenziale per agire come co-ricercatori. Abbiamo bisogno di definire risultati e prendere in considerazione ipotesi di studio che possano condividere con noi. L'ultima è il potere dei social media e di internet. Non possiamo rimanere ciechi, è una realtà... i pazienti e le famiglie ricercano informazioni e condividono le loro esperienze in rete. È nostra responsabilità offrire una buona informazione come esperti nelle discipline sanitarie e nella ricerca.