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Agata Toschi

Affetta da encefalopatia epilettica ha letteralmente rischiato di morire a causa dell’isolamento causato dal COVID. Ora inaugura la sua prima mostra di pittura

“La parte più difficile della vita di un genitore con un figlio disabile non è la malattia del figlio ma doversi trovare a gestire una mole di burocrazia infinita e scontrarsi con le ingiustizie del sistema sanitario”. È con queste parole che Elisabetta Federzoni, mamma di Agata, affetta da encefalopatia epilettica farmacoresistente a esordio precoce, racconta le difficoltà con cui la sua famiglia si è dovuta scontrare. Una realtà che, nonostante l'Emilia Romagna – dove Elisabetta e Agata risiedono – sia spesso citata come una delle regioni virtuose e all'avanguardia nei servizi, è invece contraddistinta da continui tagli e risorse mancanti.

Agata nasce il 26 agosto 2013, dopo una gravidanza fisiologica e un parto senza complicazioni. A soli 26 giorni dalla nascita, però, la mamma nota che Agata inizia a fare delle cose strane: rannicchia le gambe e strabuzza gli occhi. Un paio di giorni dopo la bimba ha la sua prima scossa, la prima crisi epilettica vera e propria, cui segue un ricovero in Terapia Intensiva Neonatale di tre, lunghissime, settimane. “Agata cresceva bene e mangiava senza problemi – racconta la mamma – ma i medici non ci dicevano nulla e io riuscivo solo a intuire che la situazione fosse grave, senza però capire quanto”. Viene esclusa qualsiasi patologia metabolica, non sono rilevati sanguinamenti né danni cerebrali evidenti, ma l’EEG appariva completamente disorganizzato e così, dopo alcuni giorni, i medici hanno iniziato a parlare di epilessia.

A metà ottobre Agata viene dimessa con una prima terapia farmacologica, che sembra essere efficace nel controllo delle crisi, ma a metà dicembre gli episodi critici riprendono in maniera ancora più intesa rispetto alle prime manifestazioni. Segue un nuovo ricovero e un cambio di terapia farmacologica.

Una volta a casa però le crisi della bambina continuano e arrivano a durare anche 40 minuti. “All’inizio – spiega Elisabetta – seppure con ritmi molto più lenti rispetto a quelli dei coetanei, lo sviluppo di Agata ha toccato traguardi importanti: a 2 anni gattonava ed era libera di esplorare lo spazio attorno a lei, a 3 anni mangiava da sola con le posate. Oggi Agata ha 8 anni, ma a causa del successivo sopravvento delle crisi ipotoniche, le braccia le cedono, porta a fatica pezzi di cibo alla bocca con le mani e deve essere imboccata, non cammina e non parla”.

Nei primi anni di vita della bimba, la famiglia gira praticamente tutti i centri specialistici italiani nella speranza di trovare, se non una cura, almeno una terapia che consenta di migliorare la qualità della vita di Agata. Le opzioni chirurgiche sono però state escluse dagli specialisti e le terapie farmacologiche non hanno dato i risultati sperati.

Nel corso degli anni, con il peggiorare degli episodi, le competenze e abilità che Agata aveva inizialmente acquisito sono gradualmente diminuite e regredite. E così i genitori, che non hanno mai ricevuto una prognosi, assistono impotenti all'involuzione della figlia, al peggiorare del suo stato generale e della qualità della sua vita, ma anche di tutta la famiglia.

Quello che non dicono dei bambini disabili – si sfoga Elisabetta – è che sono bimbi anche molto 'costosi', se non vuoi lasciarli sulla loro sedia piantati davanti alla televisione tutti i giorni dopo la scuola… per quelli che a scuola almeno ci vanno! Noi siamo fortunati perché, grazie a una rete fatta di nonne, zii e babysitter, non sono ancora stata costretta a lasciare il mio lavoro, potendo così contribuire alle continue spese da sostenere”.

Nel 2020 però, a causa della pandemia e della conseguente chiusura di asili e scuole, così come tante mamme nella sua stessa situazione, Elisabetta ha dovuto ricorrere a un congedo lavorativo per prendersi cura delle sue due figlie. In questo contesto purtroppo, nonostante gli sforzi profusi dalla famiglia per fornirle il maggior numero di stimoli possibili, privata di tutte le sue routine e di ogni tipo di socialità, Agata ha sofferto al punto da arrivare a rifiutarsi di bere e mangiare.

Dopo la fatica di quel lungo periodo, Agata ha intrapreso un percorso con Alessia Monaco, artista terapista, che le ha permesso di scoprire l’amore per la pittura e per l'arte e anche di recuperare parte delle abilità perse durante il periodo peggiore di pandemia. Con il passare dei mesi, grazie alla calorosa accoglienza ricevuta da Agata sui social, i genitori hanno iniziato a pensare che ciò che era nato come un semplice “corso di pittura” potrebbe pian piano trasformarsi in un progetto di vita.

È nato così un progetto di “Dopo di Noi” che coinvolge l’intera famiglia. Qualcosa che possa portare Agata a rendersi autonoma finanziariamente e di conseguenza lasciare libera Alma, la sorella minore, di non costringerla a prendersi cura della sorella quando i genitori non ci saranno più.

Esattamente 8 anni dopo quel primo ricovero, il 25 di settembre di quest’anno, Agata – nel frattempo trasformata in Super Aghiposerà la prima vera pietra di questo suo percorso, inaugurando una personale di pittura a Spilamberto (Modena). Tutti i dettagli dell’evento – compresa la possibilità di registrarsi, nel rispetto delle norme anti-COVID – sono disponibili qui.

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