LA MALATTIA
Il tumore della tiroide, una ghiandola a forma di farfalla posta nella regione anteriore del collo, è poco diffuso: si registra tuttavia che il numero dei casi sia raddoppiato negli ultimi 20 anni. E’ il sesto tipo di tumore per frequenza nelle donne, con un incidenza alla diagnosi tre volte maggiore per le donne rispetto agli uomini. Ogni anno sono diagnosticati più di 160.000 nuovi casi di tumore della tiroide e circa 25.000 persone muoiono, ogni anno, nel mondo per questa patologia.
Il 90% delle forme tumorali tiroidee è rappresentato dall’adenocarcinoma papillare e dall’adenocarcinoma follicolare. Entrambe le forme tumorali originano dalle cellule che secernono gli ormoni tiroidei e si parla genericamente di tumore differenziato della tiroide.
La tiroide produce due ormoni, la tiroxina e la triidotironina, che svolgono un ruolo importante nel corretto svolgimento della maggior parte delle attività metaboliche e dei processi di crescita. La crescita anomala di alcune cellule che compongono la tiroide può determinare la formazione di un nodulo e comportare un’alterata produzione ormonale, con conseguenze sull’intero organismo. La maggior parte dei tumori tiroidei differenziati sono trattabili, ma i tumori refrattari al radio-iodio, localmente avanzati o metastatici, sono più difficili da trattare e sono associati a tassi di sopravvivenza più bassi.
SINTOMI
Tutte le malattie che colpiscono la tiroide sono caratterizzate da sintomi aspecifici perciò possono rimanere silenziose per anni. Nel caso del tumore differenziato, è la presenza di un nodulo a far nascere il sospetto da parte del medico. Le forme tumorali tiroidee sono associate anche a segnali come un gonfiore nella parte anteriore del collo o dei linfonodi, mal di gola persistente, raucedine o cambiamento improvviso della voce, difficoltà di deglutizione e respiratorie. E’ tuttavia difficile riconoscere la patologia precocemente e, in genere, controlli regolari che includano la palpazione del collo e il dosaggio degli ormoni tiroidei sono importanti per individuare un malfunzionamento della ghiandola.
DIAGNOSI
L’individuazione di un nodulo nella regione anteriore del collo può essere un segnale significativo per eseguire ulteriori accertamenti. Tuttavia, queste formazioni sono spesso di piccole dimensioni e non riconoscibili al tatto. L’esame del sangue è, in genere, il primo passo nel percorso diagnostico: il dosaggio degli ormoni tiroidei, infatti, segnala in modo certo una disfunzione della ghiandola. Ecografia, TAC e risonanza magnetica sono gli esami che consentono di localizzare un nodulo e stabilirne le dimensioni e la sua eventuale diffusione ai linfonodi circostanti. E’ la biopsia a confermare la diagnosi di tumore e può essere eseguita con il semplice prelievo di un campione di tessuto oppure asportando l’intera ghiandola, qualora il nodulo sia di grandi dimensioni e ci sia più di un sospetto della natura tumorale della massa.
TERAPIA
I tumori differenziati della tiroide, contrariamente alle forme neoplastiche più rare che colpiscono la ghiandola, reagiscono positivamente alla terapia a base di radio-iodio e hanno una prognosi a 5 anni favorevole nell’85% dei casi. La rimozione chirurgica della tiroide è il primo passo del percorso terapeutico e può essere estesa anche ai linfonodi circostanti, qualora gli esami diagnostici abbiano confermato un loro coinvolgimento nella progressione tumorale. I pazienti sottoposti a tiroidectomia iniziano, subito dopo l’intervento, la terapia ormonale sostitutiva che consente di compensare il deficit di ormoni e ripristina un equilibrio nelle attività regolate dalla tiroide.
Qualora il tumore diagnosticato sia già in fase avanzata o particolarmente aggressivo, la chemioterapia segue l’intervento chirurgico. Al posto della radioterapia classica è oggi più indicata la terapia radiometabolica, a base di iodio radioattivo, che consente di distruggere in modo più selettivo le cellule tumorali dell’adenocarcinoma.
Per i pazienti refrattari anche alla terapia radiometabolica è in attesa di autorizzazione al commercio un antitumorale ad uso orale, sorafenib, già utilizzato per il trattamento del tumore epatico e dei pazienti con tumore avanzato del rene che hanno fallito terapie a base di interferone o interleuchina 2, o che non sono considerati idonei a queste terapie.
Negli studi di preclinica, sorafenib ha dimostrato di inibire un gruppo di chinasi coinvolte sia nei processi di proliferazione cellulare (crescita del tumore) che dell’angiogenesi (afflusso sanguigno al tumore) – due processi importanti che permettono al tumore di crescere. Queste chinasi includono Raf -kinase, VEGFR-1, VEGFR-2, VEGFR-3, PDGFR-B, KIT, FLT-3 e RET. La richiesta di autorizzazione al commercio con questa nuova indicazione è stata presentata all’inizio del 2013 in base ai risultato positivo dello studio DECISION (stuDy of sorafEnib in loCally advanced or metastatIc patientS with radioactive Iodine refractory thyrOid caNcer) che ne ha valutato efficacia e sicurezza rispetto al placebo e dimostrato un aumento della sopravvivenza senza progressione della malattia. Il trial internazionale, multicentrico randomizzato, è stato svolto su 417 pazienti con tumore differenziato della tiroide localmente avanzato o metastatico, refrattario al radio-iodio che non avevano ricevuto trattamenti chemioterapici, con inibitori delle tirosin-chinasi, anticorpi monoclonali anti VEGF o anti recettori del VEGF o altre terapie a bersaglio (target therapy).
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