Diabete: misurazione della glicemia

Sette tra i principali esperti mondiali si sono incontrati a Roma per la stesura del primo documento di consenso per il trattamento di questa patologia

Roma – Una patologia complessa e articolata, molto eterogenea e quindi difficile da riconoscere, troppo spesso non curata adeguatamente con conseguenze significative per il paziente e per la sua qualità di vita. È il LADA (Latent Autoimmune Diabetes in Adults), una forma di diabete autoimmune dell’adulto a lenta evoluzione verso l’insulino-dipendenza, che colpisce tra il 5-12% dei pazienti inizialmente diagnosticati come affetti da diabete di tipo 2.

Questa condizione è più eterogenea rispetto al diabete autoimmune giovanile e condivide caratteristiche cliniche e metaboliche sia con il diabete di tipo 2 sia con quello di tipo 1. I pazienti affetti da LADA ricevono quindi spesso un’errata diagnosi di diabete di tipo 2 e vengono indirizzati a un percorso terapeutico non corretto che include una dieta alimentare specifica, attività fisica e un trattamento con ipoglicemizzanti orali, che però nel lungo periodo non risultano efficaci. Al contrario, nell'arco di 2-6 anni il controllo metabolico del diabete risulta non ottimale portando ad un deterioramento della funzione beta-cellulare e alla necessità di introdurre la terapia insulinica.

“Gli aspetti epidemiologici, genetici e fisiopatologici di questo tipo di diabete non sono completamente chiariti: il problema principale del LADA è rappresentato dall'assenza di un algoritmo diagnostico terapeutico standardizzato e dalla mancanza di linee guida specifiche che ne definiscano il management ed il gold standard terapeutico”, commenta Paolo Pozzilli, Professore Ordinario di Endocrinologia e Diabetologia presso l’Università Campus Bio-Medico di Roma. “Un approccio personalizzato alla terapia è necessario per ottenere un controllo metabolico ottimale e ridurre il rischio di complicanze del diabete a lungo termine”.

È seguendo questa direzione che è stato discusso il primo documento di consenso per il trattamento del diabete autoimmune latente negli adulti in un incontro realizzato con i massimi esperti di quest’area terapeutica, grazie alla collaborazione e al supporto incondizionato di AstraZeneca Italia che ha deciso di sostenere il lavoro degli specialisti al di là del proprio ambito di ricerca e cura di riferimento. “È un segnale importante – prosegue Pozzilli – che speriamo ci consenta di poter rispondere presto alle necessità di cura dei pazienti affetti da LADA”.

L’Università Campus Bio-Medico di Roma ha infatti ospitato 7 tra i maggiori esperti mondiali sulla diagnosi e terapia del LADA che hanno lavorato alla stesura delle prime linee guida internazionali per il trattamento di questa patologia. L'obiettivo è quello di fornire un miglioramento delle attuali conoscenze sul LADA, focalizzandone le reali lacune nella diagnosi e nella gestione e approfondendo i nuovi approcci terapeutici e le prospettive future per un trattamento sempre più personalizzato che tenga conto del fenotipo della malattia, delle condizioni del paziente e del rischio cardiovascolare.

Si tratta di una forma di diabete che si manifesta dopo i 30 anni, che non necessita di trattamento insulinico per almeno 6 mesi dopo la diagnosi e che manifesta positività per anticorpi anti-GADA e/o anticorpi verso beta-cellule. Sebbene ad oggi non sia ancora chiaro quale sia l’atteggiamento terapeutico più appropriato per questa forma di diabete, è certo che un intervento terapeutico ideale dovrebbe non solo favorire un precoce e duraturo mantenimento del compenso glicemico, ma agire con azione protettiva sul patrimonio beta-cellulare residuo e mostrare una sicurezza ed efficacia cardiovascolare al fine di evitare o ridurre la progressione delle complicanze micro e macro-vascolari del diabete.

“In questa ottica, i recenti dati riguardanti l'uso di farmaci innovativi, come gli inibitori di SGLT-2 e gli agonisti del recettore del GLP-1, aprono la strada verso nuove opzioni terapeutiche che possono migliorare il controllo glicemico, preservare la funzione delle cellule beta e, non da ultimo, agire prevenendo potenzialmente lo sviluppo e la progressione delle complicanze cardio-renali anche in questa forma di diabete, così come recentemente dimostrato nei pazienti affetti da diabete di tipo 2”, conclude Pozzilli.

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