Il disagio sociale dai noi è più forte rispetto al resto d’Europa: ecco i risultati dello studio internazionale Dawn2, che ha coinvolto più di 15 mila persone

I diabetici italiani sono depressi e discriminati, molto più dei pazienti europei. A fornire queste preoccupanti informazioni è stato lo studio internazionale internazionale DAWN2 (Diabetes attitudes wishes and needs), presentato al Censis qualche giorno fa. La ricerca ha coinvolto oltre 15mila tra malati, familiari e operatori sanitari di 17 Paesi di tutto il mondo (Algeria, Canada, Cina, Danimarca, Francia, Germania, India, Italia, Giappone, Messico, Paesi Bassi, Polonia, Russia, Spagna, Turchia, Regno Unito e Stati Uniti).


Obiettivo dello studio - realizzato da International diabetes federation (IDF), International Society for Pediatric and Adolescent diabetes (ISPAD), International alliance of patients’ organization (IAPO) e Steno Diabetes Center, con il contributo non condizionato di Novo Nordisk, condotto in Italia sotto l’egida di Italian barometer diabetes observatory foundation, Diabete Italia, Comitato per i diritti della persona con diabete, in collaborazione con Censis, la Fondazione Mario Negri Sud e il ministero della Salute - l’individuazione dei bisogni insoddisfatti delle persone con diabete e di chi si prende cura di loro, attraverso l’analisi dei cambiamenti avvenuti negli ultimi dieci anni.

In Italia, il 51% delle persone con diabete dichiara di soffrire lo stress della malattia, superati solo dai polacchi (57%), mentre gli spagnoli si trovano nelle nostre stesse condizioni (51%). Migliora notevolmente la situazione dei diabetici in Francia (40%) e UK (28%). Mentre le percentuali più basse si registrano in Germania (27%).
Le depressione sembra invece colpire in maniera uniforme tutte le persone con diabete che vivono nel Vecchio continente. Ma anche in questo caso gli italiani, anche se di poco, e sempre con l’unica eccezione dei polacchi, presentano percentuali superiori ai pazienti: si sente depresso il 18% degli italiani (sempre meno del polacco:19%), in Spagna e UK il 17%, in Francia, Germania e Olanda il14%. I meno depressi sono invece i danesi (12%).
Solo quando si parla di discriminazione il nostro Paese scivola in terza posizione nella classifica dei paesi europei. A sorpresa infatti, sempre dietro ai polacchi (24%), spuntano a sorpresa gli olandesi (20%), seguiti dagli Italiani e dagli spagnoli (19%). Con percentuali inferiori alla media europea ci sono Francia (17%, Regno Unito (15%), Danimarca (14%) e Germania (11%).

Il 65% di italiani con diabete accusa un impatto negativo della malattia sulle proprie condizioni fisiche, oltre la media internazionale, al 62% (confronta dati internzionali) e il 60% teme il rischio di ipoglicemia, poco sopra la media pari al 59%. “Un insieme di situazioni – ha aggiunto Nicolucci – che genera un grave senso di oppressione nei familiari, i quali ci dicono, in oltre 1 caso su 2 di essere preoccupati per le condizioni dei loro cari e lo sono molto più rispetto a quanto accade negli altri Paesi, in cui il livello di preoccupazione si ferma al 40%”.

“Lo studio dei determinanti sociali e della qualità di vita della persona con diabete – ha commentato Giuseppe De Rita, Presidente della Fondazione Censis – appare oggi la strada percorribile per affrontare questa malattia e tutta la cronicità in genere non solo come condizione clinica, ma come fattore socio-sanitario sul quale intervenire. Il diabete rappresenta una patologia silente che è ancora poco conosciuta, spesso sottovalutata, e la non conoscenza del problema è il maggior alleato nel suo avanzare pandemico. Risulta necessario impegnarsi partendo dall’informazione per poi affrontare in termini corretti il tema della prevenzione”.

“I risultati dello studio DAWN2 – ha affermato Renato Lauro, Presidente dell’Italian Barometer Diabetes Observatory Foundation – mettono in evidenza ciò che già avviene nel caso di altre malattie come il morbo di Alzheimer e la malattia psichiatrica: l’emergere di un forte disagio sociale correlato alla condizione, che coinvolge soprattutto le famiglie. Il rischio è che, in un clima di recessione economica come quello che stiamo vivendo, possa peggiorare”.

 

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