Per garantire ai pazienti affetti da insufficienza renale cronica un accesso equo alle cure servibbe in Italia un Pdta (Piano diagnostico terapeutico assistenziale) di livello nazionale: il messaggio arriva dal 10° Forum Risk Management in Sanità, che si è svolto nei giorni scorsi ad Arezzo, nella sessione “Pdta dell’insufficienza renale cronica: sfide, appropriatezza e sostenibilità” prevista dal programma del meeting che ogni anno riunisce in Toscana gli attori protagonisti della sanità.

L’accesso alle cure per i pazienti colpiti dall’insufficienza renale cronica, infatti, non è uniforme su tutto il territorio nazionale, soprattutto per quanto riguarda la dialisi domiciliare. Secondo i dati del Registro italiano di dialisi e trapianto (Ridt, 2011), poi, il numero dei pazienti in dialisi peritoneale rispetto al numero totale per Regione risulta ancora molto esiguo e in alcune realtà la dialisi peritoneale ha una percentuale talmente bassa che porta a dedurre come la maggior parte dei pazienti venga avviata subito all’emodialisi senza poter accedere ad una terapia che consentirebbe il mantenimento della funzionalità urinaria residua, una migliore qualità della vita e una maggiore sostenibilità economica.

Secondo quanto è emerso ad Arezzo, il Piano nazionale per le cronicità – che il ministero della Salute sta predisponendo – è un provvedimento “cornice” che potrebbe recepire un Pdta nazionale sulla malattia renale cronica, nell’ottica di una veloce transizione verso un nuovo modello di sistema integrato, mirato a valorizzare sia la rete specialistica nefrologica sia tutti gli attori dell’assistenza primaria, con l’obiettivo di garantire la qualità di vita, prevenire e curare le complicanze, ottimizzare l’uso delle risorse disponibili, assicurare prevenzione primaria e diagnosi precoce.

Con una delibera di inizio 2015, il Friuli Venezia Giulia ha deciso di spingere verso l’incremento del numero di pazienti in dialisi peritoneale, chiedendo di utilizzare questa metodica in almeno il 20% dei pazienti in dialisi. Secondo alcuni degli esperti riuniti ad Arezzo, questa percentuale “assegnata come obiettivo ai direttori generali” consentirebbe “una più corretta allocazione delle risorse economiche”.

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