Dall'alto a sinistra, in senso orario: Elena Santagostino, Giovanni Di Minno, Cristina Cassone, Simona Gatti

I maggiori esperti della patologia si sono riuniti a Milano per discutere del nuovo fattore VIII a emivita prolungata di Bayer, che sarà sul mercato nei primi mesi del 2020

Milano – Negli ultimi anni, per i pazienti emofilici, l'offerta terapeutica si è ampliata notevolmente, e nei prossimi mesi è atteso anche in Italia un altro farmaco con caratteristiche innovative. La molecola, sviluppata da Bayer, è un fattore VIII ricombinante a emivita prolungata chiamato damoctocog alfa pegol (nome commerciale Jivi), che è stato approvato dalla Commissione Europea il 27 novembre 2018 e potrebbe arrivare sul mercato nei primi mesi del 2020. Un farmaco dal nome complicato, ma che promette di semplificare la vita dei pazienti: ha infatti un regime di profilassi raccomandato di un'infusione ogni cinque giorni o, sulla base delle caratteristiche cliniche del paziente, ogni sette giorni o due volte alla settimana. La multinazionale tedesca, in attesa della commercializzazione del prodotto, ha riunito a Milano i maggiori esperti della patologia, che si sono confrontati nel corso dell'evento “Esperienza ed evoluzione in emofilia”: la tavola rotonda si è svolta il 28 e 29 novembre sul Belvedere “Enzo Jannacci”, al 31esimo piano del Grattacielo Pirelli.

Questo trial, che ha portato all'indicazione del farmaco approvata in Europa, negli Stati Uniti e nel resto del mondo, si è basato sull'identificazione della tendenza emorragica nei pazienti arruolati, più di 100”, ha spiegato la prof.ssa Elena Santagostino, presidente dell'Associazione Italiana Centri Emofilia (AICE) e responsabile dell’Unità Operativa Semplice Emofilia presso l’IRCCS Fondazione Ca’ Granda, Ospedale Maggiore Policlinico di Milano. “In base al loro fenotipo emorragico, i pazienti che avevano bisogno di una terapia più intensa per prevenire le emorragie sono stati inseriti in un braccio di trattamento 2 volte la settimana, oppure sono stati randomizzati a ricevere l'infusione ogni 5 o 7 giorni. Il risultato finale di questi studi, dopo un follow up durato oltre cinque anni, è quello di aver dimostrato che la maggior parte dei pazienti riesce a beneficiare di un trattamento di profilassi ogni 5 giorni, e che quasi il 30% di loro può essere trattato addirittura una sola volta la settimana. Sostanzialmente, con damoctocog alfa pegol, i pazienti riescono a mantenere la frequenza emorragica a un episodio l'anno, e una quota rilevante (il 40%, e in certi casi anche il 50%) riesce a non avere neanche un'emorragia. Il trattamento settimanale è sempre stato un sogno per la comunità degli emofilici, che ora finalmente vede realizzate queste aspirazioni”.

Fra i pazienti che hanno partecipato allo studio PROTECT VIII, due casi clinici in particolare sono emblematici: a illustrarli nel corso dell'evento è stato il prof. Giovanni Di Minno, Ordinario di Medicina Interna presso l'Università degli Studi di Napoli e direttore del Centro di Coordinamento Regionale per le Emocoagulopatie del Policlinico Federico II. “In emofilia il bleeding si misura con il cosiddetto ABR, il tasso annuale di sanguinamento; nei due casi clinici che ho presentato, l'ABR era particolarmente alto: 10 e 15. Entrambi i pazienti (di 36 e 59 anni) presentavano inoltre artropatia, sinoviti e danni articolari. Tuttavia, dal momento in cui sono entrati nello studio non hanno più avuto sanguinamenti, al punto che hanno chiesto di entrare nella fase di estensione dello studio e hanno voluto continuare con damoctocog alfa pegol anche al termine di questa fase. Allo stato attuale hanno superato i 5 anni e 3 mesi di trattamento con questo farmaco, sempre con zero bleeding. Il fatto che i sanguinamenti si riducano o scompaiano rappresenta un modo per dimenticare il dolore, perché ora le articolazioni di questi pazienti si muovono sicuramente meglio, e ciò è dimostrato dal fatto che hanno iniziato un'attività sportiva, un allenamento continuativo di grande utilità per migliorare la loro condizione e vivere una vita normale”, ha sottolineato il prof. Di Minno, past president dell'AICE.

Il damoctocog alfa pegol è ora in attesa della pubblicazione della determina in Gazzetta Ufficiale, che potrebbe arrivare nei primi mesi dell'anno prossimo. “Da oltre 25 anni la nostra azienda è al fianco della comunità degli emofilici, e cerca soluzioni sia dal punto di vista terapeutico che da quello del supporto ai pazienti e alle loro famiglie”, ha dichiarato la dott.ssa Simona Gatti, Responsabile Medical Affairs Area Emofilia di Bayer. “Nel corso di questi anni abbiamo sviluppato diverse generazioni di fattore VIII, prima standard e poi ricombinante, in modo da poter fornire ai pazienti un farmaco sempre più efficace e con una maggiore emivita. Inoltre, abbiamo istituito dei programmi che, con l'impiego di personale infermieristico, puntano a due obiettivi: insegnare al paziente o al caregiver la tecnica dell'infusione, portandolo quindi all'autonomia nella gestione della terapia, e offrire dei servizi di farmacocinetica e di fisioterapia a domicilio”. Ma il damoctocog alfa pegol non è l'unico trattamento per l'emofilia A sul quale sta puntando Bayer: nelle primissime fasi di sperimentazione c'è anche una terapia genica, chiamata BAY 2599023. “Abbiamo iniziato la Fase I del trial, nella quale è stata arruolata una coorte di pazienti con emofilia A: presenteremo questi primi dati al congresso dell'ASH, la Società americana di ematologia. Si tratta di uno studio multinazionale, che nelle successive fasi di sviluppo coinvolgerà anche l'Italia”, ha concluso Simona Gatti.

Soddisfazione anche da parte dei pazienti per l'imminente arrivo del farmaco sul mercato: “Sicuramente tutti i nuovi trattamenti non possono che essere ben accolti dalla nostra federazione, in quanto rappresentano un passo avanti nella terapia, nella ricerca e quindi un modo nuovo per affrontare la malattia”, ha affermato Cristina Cassone, presidente di FedEmo, la federazione degli emofilici. “Speriamo che queste molecole siano sempre più efficaci e garantiscano sempre più protezione, in modo da prevenire i sanguinamenti, evitandone le sequele. Ormai la personalizzazione rappresenta uno standard: non si può più pensare di curare tutti i pazienti nella stessa maniera, perché ognuno ha il proprio genotipo e fenotipo emorragico, e di conseguenza va ricercata una cura sempre più appropriata e personale. Si parla di medicina di precisione, di farmacocinetica: tutti questi strumenti servono a disegnare la terapia giusta. Sia nella prima fase, dell'approccio alla terapia, che in quella successiva, dell'introduzione di nuove molecole e quindi di cambio del farmaco, l'alleanza fra medico e paziente è fondamentale. Quest'ultimo ha sempre più un ruolo di paziente esperto, competente, consapevole e partecipe, che deve condividere le decisioni riguardo ai percorsi di terapia. Pertanto ci devono essere maggiore empatia e capacità comunicativa da parte del medico, che diventa complice del paziente nell'affrontare sia le difficoltà che le novità terapeutiche”.

Leggi anche: “Emofilia A, le quattro P del nuovo farmaco damoctocog alfa pegol”.

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