Il dato emerge da un recente studio italiano, sostenuto da AIRC e coordinato dal Prof. Gennaro Ciliberto, direttore scientifico dell’Istituto Nazionale Tumori Regina Elena

Roma - Il melanoma è il cancro più aggressivo della pelle e la sua incidenza è in progressivo aumento, verosimilmente a causa della maggiore o più concentrata esposizione ai raggi UV. In Italia si stimano circa 7.300 nuovi casi ogni anno tra gli uomini e 6.700 tra le donne. L’incidenza è in crescita ed è raddoppiata negli ultimi 10 anni. (dati AIRTUM 2017). Fino a pochi anni fa, la forma metastatica era ritenuta una malattia difficilmente curabile, ma fortunatamente, negli ultimi anni, si sono registrati importanti successi nella lotta a questo tipo di tumore.

Le attuali terapie per il melanoma sono oggi di due tipi principali: l’immunoterapia con gli anticorpi inibitori dei checkpoint immunologici e le terapie a bersaglio molecolare con farmaci inibitori delle chinasi. Lo sviluppo di queste ultime molecole trae origine dalla scoperta che, in molti casi, questo tumore è provocato dall’oncogene BRAF (un oncogene è un gene che, se mutato, dà origine al cancro). La proteina alterata prodotta da BRAF può essere efficacemente colpita con terapie mirate, in grado di uccidere solo le cellule malate, risparmiando quelle sane. Tuttavia, uno scoglio ancora da superare è lo sviluppo della resistenza ai trattamenti, una condizione in cui la risposta alla terapia è parziale o del tutto assente. La resistenza può presentarsi anche durante le cure, rendendo inutili i farmaci utilizzati in precedenza e portando spesso alla morte dei pazienti.

Da questo fondamentale problema clinico sono sorti due quesiti essenziali: se si possono identificare nuove molecole e farmaci in grado di migliorare le attuali cure e se, e come, è possibile prevedere se un paziente risponderà o meno alle terapie. La ricerca coordinata dal Prof. Gennaro Ciliberto, direttore scientifico dell’Istituto Nazionale Tumori Regina Elena (IRE), ha cercato di rispondere a questi interrogativi, in uno studio sostenuto da AIRC, svolto in collaborazione con l’Università di Roma “Sapienza” e con l’IRCCS Pascale di Napoli. I risultati sono stati pubblicati sulla rivista Cell Death & Differentiation.

Il lavoro appena pubblicato ha attribuito a dei piccoli RNA non codificanti, chiamati microRNA, un importante ruolo nella resistenza alla terapia nel melanoma. I ricercatori, attraverso tecniche di biologia molecolare, hanno determinato che numerosi microRNA sono presenti in maniera differente nelle cellule di melanoma dopo lo sviluppo di resistenza ai farmaci anti-BRAF. Alcuni sono più presenti nelle cellule resistenti mentre altri lo sono meno. L'ipotesi che origina da questa osservazione è che il melanoma, per diventare resistente, debba evolvere liberandosi di determinati microRNA e arricchendosi di altri. Nello stesso studio è stato osservato che se, nelle cellule di melanoma resistenti, i microRNA sono riportati a livelli normali, le cellule riacquisiscono la sensibilità ai farmaci.

Un'altra caratteristica interessante dei microRNA prodotti dai tumori è che essi possono essere rintracciati nel sangue umano come biomarcatori di biopsia liquida in maniera semplice ed economica. In particolare, il gruppo di lavoro diretto dal Prof. Ciliberto ha dimostrato che alcuni fra i microRNA studiati sono rilevabili nel sangue dei pazienti con melanoma e sono in grado di indicare lo sviluppo di resistenza alla terapia. “Benché preliminare - dichiara il Prof. Ciliberto - il nostro studio offre nuove opportunità terapeutiche e diagnostiche che potranno, se ulteriormente approfondite, essere utilizzate per esercitare un crescente controllo di questa malattia”.

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