ll test, da fare sul sangue si basa sulla tecnica ‘Trident’ brevettata dall’ISS
Roma – Studiare le proteine, la loro struttura e le reciproche interazioni nel sangue per individuare malattie in fase precoce. È grazie a questa scienza, la proteomica, che ora si potrebbe arrivare ad avere un marcatore biologico in grado di rivelare in fase precoce – e ancora trattabile con successo – il melanoma cutaneo. Questa possibilità è stata individuata grazie ad uno studio italoamericano, pubblicato su Plos One , al quale hanno collaborato anche due ospedali romani: l’Istituto Dermopatico dell’Immacolata IDI-IRCCS di Roma e l’Ospedale Sant’Andrea.
Lo studio, condotto per ora sul siero (una parte del sangue) di 10 pazienti affetti da melanoma cutaneo, individua per la prima volta degli specifici valori che potrebbero essere usati appunto come ‘marker’ per individuare la presenza di questo particolare tumore. La scoperta, anche se saranno necessari ulteriori studi e riscontri, è particolarmente importante perché fino ad oggi non vi era per questo tumore nessun marcatore di malattia in fase precoce: eppure è proprio nel primo periodo che il melanoma si può efficacemente rimuovere per via chirurgica, mentre una diagnosi tardiva rende la terapia, a questo punto farmacologica, comunque meno efficace.
Questa nuova metodologia di diagnosi del melanoma è basata sull’applicazione dell’innovativa tecnica denominata “TRIDENT”, oggetto di brevetto da parte dell’Istituto Superiore di Sanità, che ha reso “visibile” una grande mole di informazioni presenti nel siero che normalmente sono nascoste e trascurate.
“Grazie alle tecniche di analisi proteomica siamo riusciti ad analizzare il siero in toto e a trovare alcune molecole appartenenti alla famiglia delle apolipoproteine che in pazienti affetti da melanoma cutaneo sono espresse in modo significativamente differente rispetto ai controlli effettuati sui pazienti sani – ha detto Francesco Facchiano medico ricercatore presso il Dipartimento di Ematologia, Oncologia e Medicina Molecolare dell’ISS – La metodologia TRIDENT, infatti, ci dà la possibilità di studiare interamente il siero del paziente, comprese quelle grandi proteine trasportatrici di segnali più piccoli che, con le tecniche tradizionali, vengono eliminate per poter più agevolmente studiare le proteine più piccole. Con queste procedure dette di “deplezione” si rischia però di scartare un segnale importante che si vuole cercare in grado di indicare un’alterazione tumorale anche allo stadio precoce, e che potrebbe essere proprio veicolato da quelle molecole trasportatrici che vengono eliminate”.
Il prossimo passo della ricerca sarà quello di confermare queste osservazioni e la potenzialità diagnostica del TRIDENT su un numero più esteso di pazienti affetti da melanoma cutaneo anche perché la metodologia potrebbe essere applicata anche ad altre patologie neoplastiche.
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